Logica e senso comune proclamano a gran voce che il mondo degli esseri viventi – la biosfera – sia nettamente separato da quello degli elementi inanimati, come rocce e minerali. Ebbene, la forza e il fascino della scienza risiedono invece nella capacità di dimostrarci come spesso, a essere un errore di valutazione sia proprio ciò che ci appare più ovvio. Errori indotti dai nostri pregiudizi o, più spesso, dalla prospettiva inevitabilmente parziale attraverso la quale l’uomo si è trovato, sin dalle sue origini, a osservare e spiegarsi ciò che gli sta intorno. Ora, nel lungo cammino che l’uomo compie sulla via della conoscenza, va a Daniele Brunelli, docente presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Modena e Reggio Emilia residente dal 2006, a Novi di Modena, il merito di aver effettuato un altro importante passo. Quello che il professor Brunelli e il suo team composto, fa piacere dirlo, di altri due giovani dottorandi italiani – il modenese Emanuele Paganelli e il meneghino Valerio Pasini – ha scoperto è la conferma che la biosfera e il mondo delle rocce non sono così nettamente distinti come si sarebbe portati a pensare ma che, al contrario, potrebbero avere molti punti di contatto. Culmine di una ricerca durata circa cinque anni, il lavoro di Brunelli è stato pubblicato su Nature Geoscience, la più prestigiosa rivista scientifica al mondo. Ma cosa ha trovato, esattamente, la squadra di geologi? “Innanzitutto va detto che abbiamo analizzato campioni di rocce recuperati sui fondali della sezione centrale dell’Oceano Atlantico – 6° nord – a circa 3 chilometri di profondità”. Qui erano depositate alcune rocce provenienti da centinaia di chilometri al di sotto della crosta terrestre, riportati lentamente in superficie – nel corso di milioni di anni – dai movimenti delle placche terresti. “Da un po’ di tempo, nella comunità scientifica, ci si è persuasi che l’inizio della vita possa aver avuto origine sulle dorsali oceaniche. Restava la ‘gara’ a chi, per primo, sarebbe riuscito a trovare testimonianza di questo dato, dimostrandolo. Ebbene, noi siamo stati i primi” afferma Brunelli, nella voce una nota di consapevole e legittimo orgoglio. Sulle rocce sono stati rinvenuti dei microorganismi – morti ma non estinti – che per vivere non utilizzano, come le piante, la fotosintesi – ovvero producendo, a partire da anidride carbonica e luce solare, ossigeno – bensì la chemiosintesi, tramite la quale questi organismi producono metano ‘mangiando’ anidride carbonica. Per ora questi microbi non hanno un nome, se non IT – intra-terrestri – dato che sono in grado di vivere a chilometri di profondità in condizioni assolutamente ostili, all’interno del mantello terrestre, a temperature vicine ai 100°. Questa scoperta, invece che un punto d’arrivo, spalanca la porta verso un vastissimo campo ancora tutto da esplorare: “Questo ci dice che la biosfera arriva molto più in profondità rispetto a quel che si pensasse – per cui la vita si sarebbe potuta sviluppare in un range di circa 20 km dall’atmosfera sino al sottosuolo – e che quindi moltissima parte della vita della Terra è ancora nascosta ai nostri occhi”. La scoperta potrebbe avere, in futuro, anche importanti applicazioni industriali. Certo, il fascino più bello resta nella conferma del fatto che, per citare Amleto, il triste Principe di Danimarca nato dalla penna di William Shakespeare: vi sono più cose in cielo e in terra Orazio, di quante se ne sognano nella vostra filosofia.
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