Ci sono fabbriche in difficoltà, lavoratori che protestano, operai in cassa integrazione, titolari di negozi semivuoti che non sanno come vendere i loro prodotti. Poi c’è la fila: questo serpente di persone di ogni provenienza geografica che, quattro mattine e quattro pomeriggi a settimana, si riunisce al Centro di ascolto Caritas, Porta Aperta di via Peruzzi per ricevere una busta alimentare. La fila rappresenta il prodotto finale, lavorato, di quella crisi economica che dal 2008 – ma avvisaglie se ne potevano scorgere da prima – continua a mettere sempre più in affanno, insieme all’Italia intera, anche il territorio carpigiano. La fila è punto di arrivo, il posto dove vai dopo aver tentato tutte le altre strade, bussato a tutte le altre porte: senza successo. La fine di un sentiero costellato di cancelli chiusi, telai fermi a prender polvere, cartelli di vendesi, capannoni sfitti, catene di montaggio ricolme soltanto di un silenzio assordante. Guardateli bene, scolpitevi le loro facce nella mente: anche se non le avete mai viste, di certo potete immaginarle. Sono loro. Gli ultimi e i primi. Coloro per i quali la società non ha saputo trovare una collocazione e insieme, forse, i primi ai quali è toccata in sorte di vivere una condizione che, se le cose non cambieranno in fretta, potrebbe finire per riguardare molti altri. Perché qui in fila non c’è soltanto chi ti aspetteresti di trovarci: immigrati dal Centro e Nord Africa, dai Paesi Arabi, dall’Europa dell’Est. Rom. No, la fila non è più la condizione di chi, bontà sua, ultimo ci è nato. In questo la fila è democratica, egualitaria, salomonica: perché a percorrerla si sente che ai molti idiomi differenti – pronunciati sempre con un tono di voce flebile, come si fosse in qualche luogo consacrato – si mescola anche l’italiano. Ovvio, di italiani in difficoltà ce ne sono sempre stati. Ma mai in questa quantità. Lo conferma una volontaria che serve qui da due anni. “La situazione non è certo delle più rosee. Ci sono anche gli italiani tra coloro che vengono a chiedere aiuto e tra questi anche dei carpigiani di nascita”. Persone di tutte le età – racconta – non soltanto anziani, ma anche gente di 40 anni. “E’ una tristezza sentire qualcuno che ti dice che dal 2008 non trova più nessun lavoro”. A raccontare questa storia fatta di disagio montante contribuiscono anche i dati: se nel 2007, l’anno precedente lo scoppio della crisi, erano state consegnate, al 30 settembre, 2859 sporte, nello stesso intervallo di tempo siamo, quest’anno, già a quota 6239: molto più del doppio, tanto che si prevede di superare le 8mila entro fine 2011. Tra i tanti che in fila non hanno voglia di parlare, troviamo Lorenzo – il nome è inventato – che, invece, la forza di spiegare la sua amarezza ce l’ha ancora. “Andate a chiederlo a Berlusconi come mai sono qui! Lavoravo nel Comune di Carpi a tempo determinato, ma a maggio del 2010 sono rimasto a casa. E’ la seconda volta che vengo qui, per avere un piccolo aiuto, altrimenti che dovrei fare andare a rubare? Sono da solo, per fortuna! Di lavoro comunque non se ne trova”. Le storie di difficoltà sono tante, come quella di Luca, carpigiano nel cui viso lascia immaginare un’antica, innata giovialità, spenta ora dalle difficoltà. “Ho perso il lavoro da tre anni. Prima facevo il corriere ma purtroppo, tra tasse e spese, non ci si sta più dentro. Ho fatto domande da tutte le parti ma, anche se non ho rinunciato a cercare, non si trova niente. Spero che qualcosa cambi in fretta perché, anche se vivo nella casa del Comune, sono comunque indietro con i pagamenti di alcune bollette. Sono andato anche ai Servizi Sociali, ma con la crisi tanta gente è a casa e si fa molta fatica ad aiutare tutti. Ci sono tanti altri italiani come me”. I problemi sono tanti: sfratti, morosità, perdita del posto di lavoro. Ognuno di questi volti – timidi al punto che sembrano quasi scusarsi di essere qui – ha la sua storia da raccontare. Ma tutte hanno un minimo comun denominatore: la crisi. Chi lentamente, chi improvvisamente, tutti sono scivolati in una condizione di povertà che, sino a qualche anno prima, non si sarebbero aspettati. Molto indicative le parole di Gaby, un giovane della Guinea che da gennaio 2011qui fa servizio civile: “nella vita le sorprese non finiscono mai. Prima pensavo che fossimo soltanto noi stranieri ad avere di questi problemi, ma venendo qui mi sono reso conto di come la crisi abbia equamente spartito la sofferenza. Mi aspettavo di trovare degli italiani, ma non in questa quantità. Sono molti, ed è impressionante. Ci sono famiglie dove non lavorano più né il padre né la madre e hanno figli piccoli che vanno a scuola. La situazione è davvero preoccupante”. Coincidenza, è stato pubblicato della Caritas – pochi giorni dopo essere stati al centro Porta aperta di Carpi – il Rapporto 2011 su povertà ed esclusione sociale in Italia che scatta la fotografia di un Paese in difficoltà. Sono 8,3 milioni, infatti, i cittadini che vivono in povertà, pari al 13,8% della popolazione. Soprattutto le famiglie numerose, monogenitoriali e del Sud. Ma, in tempi di crisi, anche la povertà si trasforma: secondo i dati, il 20% delle persone che si rivolgono ai Centri di ascolto ha meno di 35 anni. In soli cinque anni, dal 2005 al 2010, il numero di giovani è aumentato quasi del 60%. Tra questi il 76,1% non studia e non lavora, percentuale che, nel 2005, era del 70%. Tanti volti spesso nascosti. Sommessi. Invisibili. Che non fanno rumore, non strepitano, non pretendono. Ma chiamano a raccolta. Perché quei visi in coda per un po’ di cibo rappresentano insieme un grido di aiuto, un guanto di sfida e un obbligo di indignazione per ciascuno di noi.
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