Redditi in calo, impennata dei costi di produzione, oneri burocratici inamovibili, difficoltà di accesso al credito che hanno inciso, in particolare, su quelle imprese che negli anni passati hanno investito per l’ammodernamento e la competitività e che ora, col crollo dei redditi, rischiano di non poter far fronte nemmeno alle esposizioni bancarie sostenute… L’agricoltura italiana sta male e nessuno pare accorgersene, addetti ai lavori a parte. Di fronte a questo stato di cose però le risposte date finora dal Governo sono state inadeguate e insufficienti.
Insieme all’imprenditore agricolo, nonché presidente di Coldiretti Carpi, Andrea Aldrovandi, abbiamo cercato di tracciare la fotografia dello stato dell’agricoltura nel nostro territorio.
*b*Con la nuova Politica agricola comunitaria (Pac) l’agricoltura modenese subirà un ulteriore taglio. Sforbiciata che potrebbe arrivare a 1 milione di euro all’anno per complessivi 6 milioni in meno dal 2014 al 2020. Che ricadute avrebbe per gli agricoltori del nostro territorio?+b+
“Questi aiuti servono alle aziende per abbattere i costi di produzione soprattutto alle imprese agricole che hanno a disposizione grandi superfici (latifondisti), senza tener conto delle specializzazione e dell’alta qualità di settori agricoli come quello modenese. Chi, come me, non ha dei seminativi bensì frutteti o vigneti accede anche ad altri tipi di aiuti pubblici che, comunque, non rappresentano altro che briciole. Le aziende agricole sopravvivono soltanto grazie a sacrifici e duro lavoro”.
*b*La crisi economica vi ha investiti?+b+
“Se l’agricoltura non verrà sostenuta dalla politica di questo Paese è destinata a morire. Un’azienda agricola capitalizzata per 1 milione di euro, fattura circa 200mila euro l’anno quando va bene. Un’anomalia rispetto al altri settori produttivi. Il sistema creditizio non ci nega fondi ma se un’azienda si distrae, anche solo per un momento, dal sistema produttivo, rischia di chiudere, strangolata dai costi. Siamo sopravvissuti a tanti ridimensionamenti, continuiamo ad arrotolarci le maniche, a tagliare dove possiamo e ad andare avanti”.
*b*La superficie a vigneto nel modenese è scesa in tre anni da 8mila a circa 7.500 ettari. Questo anche per effetto degli incentivi previsti dai regolamenti comunitari destinati agli agricoltori che decidono di estirpare totalmente i vigneti. L’assessore provinciale all’Agricoltura asserisce che tali interventi servono a riequilibrare domanda e l’offerta, con un beneficio per tutto il settore. E’ vero? O, in qualche modo, si disincentiva la produzione made in Italy?+b+
“Sono soprattutto gli agricoltori anziani a ricevere gli incentivi per l’estirpo. Persone che, non potendo contare su un ricambio generazionale, non hanno più futuro e, quindi, decidono di tagliare i propri vigneti, spesso obsoleti e, di conseguenza, scarsamente remunerativi. Non sono tanto i terreni agricoli a calare, quanto il numero delle aziende attive. Gli agricoltori che sopravvivono invece, cercano di ingrandirsi, acquisendo o affittando i terreni liberati e cercando, attraverso superfici maggiori, di aumentare il proprio reddito. D’altro canto, è innegabile che, a fronte di un calo della produzione di uva, si spunti un prezzo maggiore sul vino”.
*b*I giovani si avvicinano a questo settore?+b+
“Il perdurare della crisi ha indotto alcuni giovani ad avvicinarsi alla campagna e, in alcuni casi, all’azienda agricola di famiglia. Il mestiere dell’agricoltore però non è un lavoro, bensì una passione. Io ho iniziato a lavorare la terra a 15 anni, durante le vacanze estive, per aiutare mio padre. E’ un mestiere duro, difficile, che implica notevoli sacrifici. Non ci sono vacanze, feste… sei legato ai ritmi della natura, alle stagioni, alle piogge. Se non ce l’hai nel cuore, non resisti a lungo. Certo la meccanizzazione e la tecnologia hanno fortemente alleggerito il nostro lavoro: dieci anni fa per vendemmiare 1.500 quintali di uva mi avvalevo dell’aiuto di una decina di persone, ora bastiamo io e una macchina”.
*b*Si vive oggi di agricoltura?+b+
“Sì, è difficile ma ci si riesce. Ricordo che nel 1986, quando ancora studiavo agraria, stimammo che un operaio guadagnava circa 6 mila lire all’ora, mentre gli agricoltori diretti raggiungevano quota 500/mille lire. Le cose oggi non sono cambiate di molto: le ore lavorate infatti, sono talmente tante, che il reddito finale non è certo commensurabile all’impegno e alla fatica”.
*b*Perchè i prodotti agroalimentari costano tanto quando arrivano sulle nostre tavole e a voi non restano che le briciole?+b+
“Nonostante le filiere siano state fortemente accorciate, la vendita al dettaglio ha ancora dei margini eccessivi ma, il vero problema è un altro, ovvero la speculazione. I prodotti agroalimentari, essendo biodegradabili, non possono essere stoccati e restare in giacenza troppo a lungo quindi, chi compra, specula. Quando vi è abbondanza di prodotto, gli acquirenti non acquistano e i prezzi precipitano se, al contrario, pensano vi sia scarsità, allora sono disposti a spendere qualcosa in più. Il mercato di frutta e verdura subisce, ogni anno, sbalzi inaccettabili legati a questi meccanismi perversi. Purtroppo è un sistema che non si può domare se non si interviene dall’alto”.
*b*Facciamo un esempio. Quanto spende per produrre 1 chilogrammo di pere? Quanto le viene pagato e quanto costa al consumatore?+b+
“Io spendo mediamente 30/40 centesimi per produrre un chilo di pere che, quest’anno, mi è stato pagato dai 20 ai 35 centesimi (quello scorso 50 – 70 cent) e che voi consumatori pagate intorno ai 2,50 euro”.
*b*Parliamo di uva: quanto le costa produrre un quintale d’uva?+b+
“Circa 16/20 euro al quintale”.
*b*E quanto le viene pagato? +b+
“La media della nostra cantina (Cantina di Santa Croce ndr) è di circa 34 euro al quintale”.
*b*Le cantine saldano l’anno successivo. Nel frattempo di cosa vivono gli agricoltori?+b+
“Il meccanismo vale anche per la frutta in genere. Le cooperative devono prima vendere il prodotto per sapere quanto dovranno remunerare i soci. Ciò significa che l’agricoltore termina di consegnare la frutta a settembre, la cooperativa gli versa un primo acconto a dicembre, un altro a febbraio e il saldo a fine luglio. L’uva viene consegnata all’inizio di ottobre, il primo acconto giunge a Pasqua, il secondo in estate e il saldo a dicembre, circa 15 mesi dopo il conferimento delle uve. Se non ci fosse il sistema cooperativo, stabilire i prezzi sarebbe però molto difficile. Le cooperative consentono di calmierare i prezzi e, soprattutto, di mantenerli stabili. Confrontarsi ogni volta col libero mercato sul fronte dei prezzi, sarebbe un gioco al massacro”.
*b*I mercati contadini rappresentano una fonte di reddito importante per le aziende?+b+
“I mercati contadini hanno salvato alcune aziende modenesi che, attraverso questo strumento, possono così raggiungere un reddito dignitoso. I prezzi non hanno seguito l’andamento del mercato, la nostra fortuna è che la tecnologia ha migliorato e reso più redditizi i sistemi di produzione, riducendo i costi, ma è dura”.
Il mercato del grano rappresenta un nervo scoperto del nostro Paese.
L’Italia produce il 70% del proprio fabbisogno di grano duro e il 45% del grano tenero e importa il resto da paesi, come Messico e Ucraina, dove non esistono le nostre norme sanitarie. Nei porti italiani si documentano scarichi di milioni di tonnellate di frumento estero, compreso sub-grano di bassa categoria, con probabili tenori di metalli pesanti, tale da renderlo inutilizzabile al consumo umano. L’importazione di cereali con questi standard contraddice un progetto delle Politiche Agricole che ha sancito la superiorità dei grani dell’Italia Meridionale, pugliesi e siciliani in particolare.
Tra le prime cause della crisi della cerealicoltura italiana ci sarebbe la “voracità” delle industrie di trasformazione che importano grano duro di bassa qualità (fino al 40% del fabbisogno nazionale) sostenendo che quello italiano non è sufficiente. In realtà, le importazioni concentrate in concomitanza con la campagna di raccolta sono vere e proprie azioni speculative finalizzate all’abbattimento del prezzo del grano italiano.
*b*Per tutelare la salute dei consumatori, incentivare l’agricoltura italiana ed evitare le speculazioni perchè non si rende obbligatoria l’indicazione d’origine territoriale degli ingredienti usati? Oggi il made in Italy è una farsa. Si fa pasta “italiana” con ingredienti stranieri di dubbia provenienza, si fa doppio concentrato di pomodoro “italiano” con triplo concentrato cinese, aggiungendo sale e acqua… +b+
“Questa è una delle battaglie più grandi di Coldiretti. Da anni chiediamo che in etichetta venga specificata l’origine della materia prima. Un’etichettatura onesta e trasparente è il primo passo verso un consumo critico e informato. Un disegno di legge in tal senso c’è dal 2004 ma non è mai diventato operativo, troppi gli interessi (dell’industria) in gioco. Quando esportiamo, le leggi italiane e straniere ci massacrano: controlli, certificazioni… quando importiamo derrate, al contrario, facciamo entrare di tutto a occhi chiusi. E’ scandaloso. La qualità dei prodotti Made in Italy (i più copiati al mondo) deve essere tutelata ma la politica deve fare qualcosa. In Romagna i Consorzi agrari d’Italia intanto hanno acquistato in compartecipazione il Pastificio Ghigi nel quale si produrrà pasta con grano 100% italiano. Un primo, ma importante, passo per una produzione di eccellenza che premia gli agricoltori locali”.
Non dimentichiamo che, l’azione di ciascuno di noi, può fare la differenza, che acquistare a chilometro zero può contrastare la globalizzazione, può salvare l’agricoltura, valorizzare la biodiversità e garantire maggiore qualità e sicurezza.