Un quadrimestre non fa la differenza

Pochi ma significativi spunti per dire che “siamo una specie sociale, a scuola si impara in mezzo agli altri e l’apprendimento con l’insegnante è cosa diversa dalla didattica a distanza”. Al rientro a settembre “la natura umana non cambierà ma cambierà l’organizzazione” precisa Renzo Gherardi, pedagogista e coordinatore della Qualificazione scolastica del distretto di Correggio.

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Sono settimane di riflessioni nel mondo scolastico che, durante il periodo dell’emergenza sanitaria legata al coronavirus, ha ripensato la propria routine per permettere agli studenti di restare ‘agganciati’ cercando soluzioni per tenere in piedi la scuola in modo differente, ma “la scuola in presenza è un’altra cosa” ribadisce Renzo Gherardi, pedagogista e coordinatore della Qualificazione scolastica del distretto di Correggio.

“Il coronavirus ci ha colto alla sprovvista e l’Italia è lunga: non darei per scontata la stessa dotazione di strumenti dal nord al sud” commenta Gherardi. “Al di là degli aspetti tecnici, l’insegnante a scuola si occupa di educazione e istruzione: nella scuola primaria prevale l’aspetto educativo a contatto con il resto della classe ma poi è l’istruzione a rivestire un’importanza maggiore con il passare degli anni. Con la didattica a distanza, l’insegnante è in grado di avanzare una proposta mediana alla classe mentre in presenza può considerare il singolo alunno in una sorta di insegnamento personalizzato che tiene conto delle differenze tra studenti. L’ insegnante in presenza parte dalla difficoltà di uno studente per arrivare a tutti, nella didattica a distanza che proposta è stata fatta a chi ha disturbi dell’apprendimento, a chi ha una disabilità o a chi è appena arrivato da un paese straniero?”.

Inoltre, nella scuola degli ultimi trent’anni, il rapporto tra insegnamento e apprendimento si è progressivamente sbilanciato a favore dell’alunno, “la cui curiosità va sostenuta e mantenuta da zero a diciotto anni: a volte trova il suo naturale sfogo ma in alcuni casi ha bisogno di supporto”.

Gherardi in premessa ripercorre il contenuto degli incontri su Educazione e apprendimento nell’era dei media organizzati di recente a Correggio. A partire dall’intervento di Marco Gui, professore di Sociologia presso la Bicocca di Milano, la cui ricerca (Il digitale a scuola. Rivoluzione o abbaglio?, 2019, Il Mulino) aveva evidenziato che i media non avevano portato, nel corso di questi anni, a un miglioramento dell’apprendimento. “Gli strumenti non sono una panacea e, pur essendo indispensabili, occorre farne un uso corretto e per un tempo limitato” aveva sostenuto la psicologa e psicoterapeuta Barbara Volpi della Sapienza di Roma secondo la quale molti leggono ma pochi riflettono, invitando all’esercizio della scrittura che presuppone l’elaborazione di un precedente pensiero.

Alberto Oliverio, neurobiologo, (Il cervello che impara. Neuropedagogia dall’infanzia alla vecchiaia, 2017, Giunti) aveva insistito sulla necessità per i più piccoli, ma non solo, di fare esperienze dirette e concrete per riflettere sugli apprendimenti mentre Massimo Recalcati (L’ora di lezione, 2014, Einaudi) aveva ribadito la funzione insostituibile dell’insegnante e Gustavo Pietropolli Charmet (Fragile e spavaldo. Ritratto dell’adolescente di oggi, 2019, Laterza) aveva evidenziato il narcisismo degli adolescenti. L’ educazione non è più a base di sacrifici, punizioni e sensi di colpa, ma considera i bambini di oggi come soggetti preziosi, quasi attori cinematografici immortalati in fotografie che sono ben diverse da quelle degli anni ’40. “Il narcisismo non è di per sé un difetto ma non aiuta i figli a relazionarsi al pari con gli altri” afferma Gherardi citando poi Mio figlio è un fenomeno di Fabio Benaglia, protagonista dell’ultimo appuntamento della rassegna.

Pochi ma significativi spunti per dire che “siamo una specie sociale, a scuola si impara in mezzo agli altri e l’apprendimento con l’insegnante è cosa diversa dalla didattica a distanza”.

Al rientro a settembre “la natura umana non cambierà e resterà valido ciò che ho detto in premessa ma cambierà l’organizzazione. Tre, quattro, cinque mesi non fanno la differenza”.

Sara Gelli

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