Se l’emergenza coronavirus dovesse durare qualche mese il rischio che una buona parte dell’economia nazionale si fermi è alquanto probabile. Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Liguria generano la metà del Pil nazionale. Molti settori produttivi sono già allo stremo e nel distretto carpigiano non mancano le testimonianze, pubblicate su queste pagine nelle settimane scorse, di imprenditori del tessile abbigliamento che rischiano di chiudere.
È peggio che in guerra
“Credo sia la prima volta che, con decreto, si è deciso di chiudere tutto azzerando sia la domanda che l’offerta: un doppio shock economico nemmeno paragonabile a quello di una guerra dove, di fatto, o manca l’una o manca l’altra”. In passato a fronte di una domanda stabile di beni può essersi verificato un rallentamento delle produzioni oppure si può essere verificata una caduta dei consumi delle famiglie nonostante la disponibilità di beni garantita dalle fabbriche. “Mai ciò che è successo oggi. Di fatto, è stato spento tutto”. Riccardo Cavicchioli, imprenditore carpigiano, decide di partire dallo scenario macroeconomico per fotografare la crisi drammatica che si sta delineando nel Paese.
“Lo Stato, che è garante di tutti, nell’interesse collettivo dovrebbe immettere risorse immediatamente su entrambi i fronti, quello dei cittadini e quello delle imprese. Non voglio precisare l’entità, ma devono essere tante risorse”.
Fase eccezionale non solo sul fronte sanitario
Con il primo decreto approntato dallo Stato si è cercato di tutelare i cittadini garantendo loro un reddito anche per ragioni sociali, cioè per evitare che la gente scendesse in piazza in rivolta. Se si morisse di fame, anche il coronavirus passerebbe in secondo piano. La forza lavoro è sostenuta con la cassa integrazione in deroga e ai dipendenti è riconosciuto l’80% dello stipendio ma non è detto che tutti riescano a sbarcare il lunario. Poi succede anche che molte aziende, pur avendo risorse, accedono ugualmente alla cassa integrazione mentre altre non sanno proprio come saltarci fuori.
“Mi aspettavo l’attivazione di automatismi per agevolare le pratiche burocratiche e rendere disponibili subito le risorse, invece la procedura è quella ordinaria per cui le associazioni datoriali presentano la richiesta, i sindacati devono autorizzare, e via dicendo. É stato così anche per i liberi professionisti che, per una cifra irrisoria di 600 euro, hanno dovuto presentare la domanda sul sito dell’Inps. Se la fase è eccezionale sul fronte sanitario, occorre chiedersi se lo sia anche sul fronte economico e, nel caso, fare ricorso a strumenti straordinari”.
La devastante crisi economica… dentro l’Euro
“In base alle stime, se le attività dovessero ripartire il 14 aprile a pieno regime (e non sarà così), il nostro Pil segnerebbe un – 11%. Per avere un’idea, nel 2008 abbiamo registrato – 5,9%”. A pesare è la disintegrazione del comparto del turismo e della ricettività con tante imprese che non ce la faranno. Per tanti è troppo tardi.
“Sul fronte delle imprese, dopo le promesse, servono interventi straordinari. Non è compito nostro – precisa Cavicchioli – sapere dove reperire le risorse. Non è il mestiere di un imprenditore. Se l’Italia si è infilata in un vicolo cieco con il Mes o con gli eurobond, allora la classe dirigente di questo Paese deve prendere atto che alla prima occasione in cui c’è bisogno non ci sono gli strumenti per saltarci fuori. Tutto quello che ci è stato detto avremmo patito fuori dall’euro, lo stiamo patendo dentro l’euro: questa è una riflessione che prima o poi i politici devono fare”.
Serve più coraggio
“A livello locale io non ho visto un politico incatenarsi alla Regione o a Palazzo Chigi: quello sarebbe stato un segnale di situazione straordinaria perché non basta fare gli annunci per chiudere i parchi. La situazione economica è gravissima: non basta che sindaci e governatori con l’europarlamentare Calenda scrivano una lettera agli amici tedeschi. Occorre dare mandato al governo di agire subito e il fatto che l’Europa prenda tempo è una cosa ridicola.
Gli interventi a sostegno di in un’impresa che manca di liquidità sono inutili, quando i conti sono a zero si fallisce, non c’è tempo perché i pagamenti vanno avanti e molti imprenditori responsabili hanno scritto ai fornitori e onoreranno i pagamenti finché hanno liquidità”.
Ci sono altri imprenditori che hanno scelto di non pagare i fornitori per fare cassa pensando così di salvarsi forse per qualche mese ma se il sistema si orienterà in questa direzione non ci sarà nessuno che si salva. Dove sta la lungimiranza se si uccide la filiera? Quando sarà il momento di ripartire, come sarà possibile se la filiera non ci sarà più?
Una nuova era
Se verranno utilizzate le leve giuste a livello economico, cosa che non è ancora stata fatta, potrebbe presentarsi l’occasione per rivedere ciò che di questo sistema economico non ci avvantaggia. Per prima cosa è da ridiscutere a livello europeo, nazionale e anche locale se ha un senso la globalizzazione così come è stata voluta. “Abbiamo visto quanto si è fragili – precisa Cavicchioli. – quando si dipende da stati esteri. Può scoppiare una guerra o una pandemia e si rischia di rimanere in braghe di tela. L’unica convenienza della globalizzazione è la deflazione dei prodotti ma perché ciò che può essere prodotto all’interno dei confini nazionali lo si deve far fare a trentamila chilometri di distanza? Nel caso del petrolio devo scendere a patti con chi lo possiede ma nel caso di una mascherina è abbastanza ridicolo”.
Per Cavicchioli, si dovranno ridisegnare le catene del valore e le filiere per essere sufficientemente resilienti. “Non è un caso che sia esattamente ciò che sostengono gli ambientalisti e chi si accinge a ragionare di economia circolare, mantenendo a livello locale tutto quello che si può produrre per contenere il costo energetico e le risorse”.
Questa può essere una grande occasione anche per il comparto tessile del nostro distretto e per tanti settori però bisogna saperla cogliere e avere la dorsale industriale pronta. Se la si fa morire in questi mesi, non ci sarà più nessuna impresa in grado di ripartire.
Il rischio e il ruolo dell’Europa
“Il rischio, a quel punto, è di essere colonizzati da capitali esteri, per esempio tedeschi, pronti a ridisegnare complessivamente l’economia mettendoci loro capitali: a quel punto noi lavoreremmo per loro. Sia chiaro che non ce l’ho coi tedeschi che fanno l’interesse della loro nazione. Siamo noi che non facciamo l’interesse della nostra”. E monta la rabbia di fronte dello scarsissimo coraggio delle classi dirigenti italiane a livello nazionale e anche a livello locale perché non c’è chi ci metta la faccia fermando certi processi e automatismi che sono quelli di sempre.
Il Mes poteva servire per gestire shock di minore portata ma oggi serve una gigantesca quantità di denaro erogata immediatamente. Intanto, a livello europeo, pensano di aspettare quindici giorni per cambiare nome al Mes. Scuote la testa Cavicchioli, “siamo sempre dentro gli stessi binari e portiamo il cappello in mano. Andiamo in Europa a fare il compitino ma in questa fase non riesco a concepire questo atteggiamento”.
Cavicchioli insiste sulla necessità che le persone siano informate e che tutti quanti teniamo la schiena dritta, anche gli imprenditori che adesso sono soli ad aspettare che la notte porti il decreto della salvezza. Il decreto per ora non c’è e quelli che sono un po’ più forti uccidono i più piccoli. “Se oggi facessimo i De Gasperi con la Germania, loro malgrado i tedeschi non si tirerebbero indietro”.