Pediatri a rischio estinzione

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“Non ci sono più specialisti disponibili a livello nazionale, non solo a Carpi. L’Ausl sta facendo di tutto per tamponare la situazione, ma bisogna pensare a una riorganizzazione dell’assistenza. L’Emilia Romagna potrebbe essere pioniera in questo e il Pal, in discussione in Provincia di Modena, è l’occasione giusta per ribadire alcune priorità”. A denunciare l’emergenza pediatrica è Adriana Borghi, primario dell’Unità operativa di Pediatria e neonatologia di II° livello, all’ospedale di Carpi. In organico sono previsti altri 8 medici, ma in realtà sono solo sei, di cui uno arrivato poche ore prima dell’intervista. La Borghi è, contemporaneamente, direttore anche a Mirandola dove c’è un reparto di I° livello in cui lavorano 4 medici.
*b*Perché la pediatria è in crisi?*b*
“Sono tre i motivi fondamentali. Innanzitutto, le Università specializzano molto meno rispetto ad alcuni anni fa: la nuova normativa prevede, infatti, che gli specializzandi debbano essere pagati. La scarsità di risorse a disposizione ha portato a una decimazione in senso letterale degli specializzandi in pediatria. Inoltre non è stata fatta un’adeguata programmazione rispetto alle esigenze dell’organizzazione pediatrica.
*b*Poi?*b*
“Il secondo motivo è che stanno andando in pensione i pediatri entrati negli anni ’80 nell’assistenza pediatrica territoriale, allora istituita: secondo la Società Italiana di Pediatria avremo, nei prossimi anni, 2000 pediatri in meno, senza la possibilità di rimpiazzarli. Anche per questo il modello organizzativo è destinato a implodere”.
Infine, circa il 75% dei neo specialisti sceglie la pediatria di famiglia per motivi che sarebbe opportuno chiarire e affrontare.
Fatto sta che al quarto piano del Ramazzini nella Pediatria i medici sono costretti a un superlavoro che è progressivamente aumentato negli anni. A Ciò si aggiunga che negli ultimi 5 anni la natalità è in progressivo, sensibile aumento , grazie alla popolazione immigrata
*b*Cosa è cambiato rispetto al recente passato?*b*
“La capillarizzazione dell’assistenza pediatrica rispondeva a un progetto politico di tutela pubblica della salute materno-infantile e sicuramente ha contribuito a far riconoscere l’assistenza sanitaria italiana come una fra le migliori al mondo” sottolinea la sott.ssa Borghi “ma il modello italiano (l’Italia è l’unico paese dove esiste la Pediatria di famiglia e si sono moltiplicati i piccoli reparti di pediatria) ha comportato l’esigenza di un alto numero di pediatri per coprire il fabbisogno del territorio, degli ospedali e dell’università: quel modello oggi è al collasso, nonostante ci siano più di 100 pediatri in provincia di Modena”.
*b*Cos’è che non funziona?*b*
“Sono aumentate le prestazioni dei pediatri di famiglia e sono aumentati moltissimo gli accessi alle strutture ospedaliere. Praticamente un eccesso di offerta ha prodotto un eccesso di domanda. Il risultato è che anche in ospedale l’attività principale è quella ambulatoriale e ci ritroviamo a trattare casi che non dovrebbero nemmeno arrivare qua. E non riusciamo a fare ciò a cui sarebbe vocato il reparto ospedaliero, cioè fornire un’assistenza di intensità più elevata nelle forme acute rispetto alla patologia ambulatoriale e trattare la patologia cronica complessa”.
Stanno aumentando in modo esponenziale i bambini ad alta complessità assistenziale: patologia cronica, malattie rare, malformazioni congenite, grandi prematuri con esiti invalidanti. “Per questi bambini e per le loro famiglie mancano adeguati percorsi assistenziali e strutture di accoglienza parziale o totale. Il ritardo dell’organizzazione pediatrica in questo ambito sta diventando enorme”.
Adriana Borghi riporta, per esemplificare, il caso dei bambini epilettici, cui, tra breve, l’ambulatorio specialistico di neuropediatria non riuscirà più a far fronte in modi e tempi adeguati
*b*E’ possibile una soluzione?*b*
“L’unica strada è quella della riorganizzazione dell’assistenza pediatrica che deve prevedere modelli diversi sia per l’assistenza ospedaliera sia territoriale”
Parliamo, per esempio, di pool pediatrici unici tra ospedale e territorio, che potrebbero gestire tutta l’assistenza pediatrica nelle zone periferiche, dal punto nascita, agli ambulatori, ad una sede ospedaliera, dove risolvere nel giro di poche ore la patologiaacuta di grado intermedio. Vi sono già sperimentazioni in tal senso sul territorio nazionale, come in provincia di Domodossola.
“Per raggiungere una vera integrazione tra ospedale e territorio – conclude la Borghi – tutti si devono mostrare disponbili a cambiare le modalità di lavoro”. La discussione dal Pal potrebbe finire in Regione e costituire un buon punto di partenza per trovare soluzione al problema della carenza di Pediatri, salvaguardando la qualità dell’assistenza al bambino.

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