Caro direttore
Tra le tante parole d’ordine coniate dal regime fascista con l’intento di spegnere ogni forma di pensiero critico ce n’era una che suonava pressappoco così: “Qui si lavora, non si fa politica”. Ed era chiaramente rivolta, in primo luogo, a operai e impiegati statali, tanto per ricordare loro – qualora avessero strani grilli per la testa – che lo Stato totalitario non ammetteva deroghe al pensiero unico.
Vivendo oggi, fortunatamente, in una democrazia liberale, pensavamo di esserci gettati definitivamente alle spalle qualsiasi forma di coercizione del libero pensiero. Ma a insinuare nuovi dubbi sulla certezza di un diritto che ritenevamo acquisito – quello al dissenso – ci ha pensato il dirigente scolastico regionale Marcello Limina.
Ne sa qualcosa il prof. Mele dell’Istituto Meucci di Carpi, incappato di recente nei rigori del funzionario statale. Il nostro, infatti, ebbe già modo di richiamare il prof. Mele colpevole, a suo avviso, di “condizionare politicamente l’operato del dirigente scolastico” con “ripetute e talvolta scomposte azioni di protesta” recando in questo modo “grave pregiudizio all’equilibrio e alla serenità dell’ambiente scolastico”.
Sorvolando sulla prosa ottocentesca vien da dire: ma veramente il prof Limina è convinto che siano le manifestazioni di protesta del prof Mele e di tanti altri insegnanti come lui a nuocere all’equilibrio e alla serenità della scuola e non, piuttosto, l’assalto all’arma bianca sferrato dal ministro Gelmini al cuore della scuola italiana che “infiniti lutti” – tanto per citare il sommo poeta – sta arrecando alla classe insegnante, agli studenti, alle famiglie e al Paese intero? Chi è che attenta alla serenità dell’ambiente scolastico? Chi protesta per difendere la qualità dell’insegnamento e la dignità dei docenti o chi, giorno dopo giorno, smantella il sistema della formazione a colpi di scure?
Il prof Limina sembra non avere dubbi in proposito e dichiara, imperterrito: “Io continuo nella mia linea di fermezza, tutto il resto è Carnevale. Mele e i suoi seguaci (sic!) pensino a fare scuola”. Non c’è che dire, un luminoso esempio di dedizione al potere.