Dopo aver ricevuto il premio assegnatogli dalla Camera di Commercio di Modena, “per la fedeltà al lavoro e progresso economico”, grazie alla longevità dell’impresa, siamo andati a conoscere meglio i componenti di Silmar, lo studio che da oltre sessant’anni fotografa i carpigiani.
Il semiologo francese Roland Barthes ne La camera chiara, uno dei più celebri saggi sul significato della fotografia, scrive: “davanti all’obiettivo io sono contemporaneamente quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte”.
E guardando il ritratto che Mario Pergreffi, il capostipite di questa dinastia di fotografi, fece alla giovane moglie Silvana – che conobbe proprio in una camera oscura – riecheggiano nella mente le parole di Barthes. Mario arriva alla fotografia quasi per caso, appena dopo la Seconda Guerra Mondiale. “Ero tornato dalla Germania dove ero stato deportato in seguito all’8 settembre, scappando da solo e facendo tutto il tragitto a piedi”.
Tornato in Italia, finisce per diventare l’aiutante di un fotografo.
Aprii un primo studio a Soliera, specializzandomi in ritrattistica – continua Mario – ed è lì che conobbi quella che sarebbe stata mia moglie. Eravamo entrambi fidanzati, ma lavorando fianco a fianco ci rendemmo conto di essere innamorati.
Da questo amore nasce anche il nome dello studio fotografico: Silmar è, infatti, l’unione dei nomi Silvana e Mario. Ma la storia non finisce qui, anzi. Oltre al padre Mario, anche i due figli Luciano e Gianluca hanno abbracciato con lo stesso entusiasmo la professione, sino a trasformarla in arte, diventando rispettivamente fotografo di moda e designer. “A 10 anni mio padre, maniaco dell’attrezzatura, mi regalò una Rolleiflex biottica con la quale ho cominciato a respirare l’aria della fotografia – racconta il primogenito di Mario – immortalando tutto quello che catturava la mia attenzione”. Il piccolo Luciano si diverte a fotografare i commercianti della zona che, molto simpaticamente, gli comprano le foto per 10 lire. Un’abitudine che si trasforma in una passione, tanto da far crescere in lui la consapevolezza che, a quest’arte, avrebbe dedicato la vita. “Negli Anni ’80 si cominciavano a fotografare le collezioni delle prime ditte che, sul territorio, producevano abbigliamento. Ed è stato proprio nell’ambito della moda che, a 17 anni, ho realizzato il mio primo servizio per la ditta Baroni”. Da quel momento Luciano inizia a lavorare per tutte le ditte d’abbigliamento carpigiane, realizzando spesso, oltre alle immagini, anche la campagna pubblicitaria. Nei primi Anni ’90 arrivano anche le collaborazioni che porteranno i suoi scatti a comparire sulle pagine delle più prestigiose riviste internazionali (Vogue, Vanity Fair, Elle, Madame Figaro) insieme alla collaborazione con alcuni stilisti del calibro di Armani, Dior, Dolce&Gabbana e Gucci. Fino alla soddisfazione più grande: “lo scorso anno Vittorio Sgarbi ha invitato me e mio fratello a esporre una foto alla Biennale di Venezia”. Una vita da globe trotter che si avvicenda tra New York, Londra, Parigi e Carpi. Ma anche nei luoghi più esotici del mondo, come un’isola sperduta del Mozambico dove, mentre stava realizzando un servizio, “sono stato riconosciuto da un carpigiano che era lì”. Il fratello Gianluca, dieci anni più giovane, non è da meno, avendo progettato – in occasione degli ultimi Mondiali di calcio – un biliardino in acciaio e cristallo, i volti dei giocatori scolpiti con le fattezze dei campioni di otto anni prima, opera esposta in via Montenapoleone – strada della moda per antonomasia – a Milano. Ma come si trasforma la fotografia, ora che, grazie alle attrezzature digitali, tutti si sentono un po’ fotografi? “Non concordo con i puristi che ritengono che il digitale abbia rovinato la qualità delle immagini e che rimpiangono i bei tempi andati che non torneranno più. Non bisogna dimenticare che la macchina è solo uno strumento e, come tale, è in continuo aggiornamento. La differenza tra una foto significativa e una mediocre sta nell’occhio e nella sensibilità di chi guarda nell’obiettivo. Col digitale c’è ancora spazio per buone fotografie”. Ma tra gli scatti di una vita, qual è l’immagine migliore che Luciano ritiene di aver immortalato? “Quella che devo ancora scattare” risponde. D’altronde è stato proprio il desiderio di superare se stessi a consentire ai Pergreffi di percorrere la strada che ha trasformato un semplice studio fotografico in una vera e propria officina di talenti.