E’ fermo il no che i tassisti carpigiani oppongono alla liberalizzazione della loro categoria voluta dal Governo di Mario Monti. Abbiamo intervistato alcuni di loro mentre aspettavano i clienti nei parcheggi davanti alla Stazione dei Treni e in quelli a fianco del Duomo. Molte le ragioni che hanno elencato per giustificare il proprio malessere. Innanzitutto sottolineano come quello del tassista non sia affatto un mestiere da nababbi. “Essendo degli artigiani, ci sono mesi nei quali guadagniamo 800 e altri 1.500 euro. Liberalizzare questo mercato non significa dare un’occupazione ad altre 20mila persone, come dice il Governo, ma rendere il lavoro impossibile ai 40mila tassisti che già ci sono in Italia” dichiara Donato, che con la sua auto lavora a Carpi da circa quattro anni. “Mi presenti, se lo conosce, qualche tassista che ha la barca a vela o la casa in qualche luogo esotico. Non ce ne sono”. Non solo la categoria sostiene di non navigare nell’oro, ma tutti ci tengono a sottolineare come facciano parte dell’unico servizio pubblico che non incide sulla comunità: “Io nel 2010 ho avuto un rimborso sulle accise di 207 euro, ma il taxi e la licenza me li sono comprati con i risparmi di tutta una vita”. Sembra che a Carpi una licenza costi intorno ai 30-35mila euro. Sul nostro territorio operano due consorzi per 13 macchine: 11 del Cotamo e 2 di Area Taxi. “Guardate gli autobus: viaggiano vuoti per la maggior parte del tempo e costano soldi pubblici ogni anno. Ma noi non abbiamo soltanto la concorrenza dei mezzi pubblici, ma anche quelli dei noleggi con e senza conducente”. Aniello, un tassista sul campo da sei anni, sostiene poi che a Carpi ci sia anche qualche abusivo, sottolineando come la torta da spartirsi sia più simile a un pezzo di pane raffermo. “Viviamo in un contesto di 70mila abitanti, ma se qualcuno aspettasse davanti alla stazione da mattina a sera, vedrebbe che, mentre in città c’è la fila di persone per prendere un taxi, qui, al contrario, si forma una fila di taxi in attesa di caricare un cliente. Nonostante ciò, a Carpi arriva prima un taxi che un’autoambulanza”. Carlo, di origini toscane, è il veterano dei tassisti carpigiani: 20 anni fa pagò la licenza 50 milioni di vecchie lire e ora è davvero arrabbiato. “Oggi – ci dice alle 16, sventolandoci davanti agli occhi gli appunti di un taccuino – ho fatto sei corse da 52 euro totali: lordi. E questo dalle sette di stamattina. Mi dica lei se questo significa appartenere a una casta”. Un medio centro di provincia non è poi una grande città, e le attese possono essere molto lunghe. “Ho praticamente un ufficio nella mia macchina – continua Carlo – con giornali e fogli per scrivere qualcosa, altrimenti dovendo passare 13 ore in macchina impazzirei”. Lui, che la piazza la conosce bene, sostiene che a Carpi non c’è la mentalità del taxi: anche se la tipologia della clientela spazia dagli immigrati alle donne anziane, dai giovani a qualche imprenditore. “Lo prendono in pochi. Gli stessi uomini d’affari sono trasportati quasi tutti dalle ditte del tessile e, comunque, il crollo della maglieria certamente non ha aiutato. Ma se le liberalizzazioni dovessero passare, nonostante le loro proteste? “Ora ci sono sei taxi fermi in posteggio – dice Donato mostrandoci il display del computer di bordo – e uno in movimento. Pensi se Monti, da domani, desse una licenza a tutti. Se fossimo in 26, io dovrei cambiare lavoro, perché non sarei più in grado di mantenere la mia famiglia. C’è solo un piccolissimo particolare: ho speso tutti i miei risparmi per acquistare la licenza”. Ma allora come si risponde a chi sostiene che, aumentando la concorrenza, si abbasserebbero i costi, a tutto vantaggio del consumatore? “Il taxi nessuno lo prende per sfizio. Qui la corsa minima è 5.50 euro. Anche nelle giornate in cui, arrivando in stazione, piove a dirotto, nessuno sale. Allora non si creerebbero nuovi posti di lavoro, ma soltanto un esercito di disoccupati. Se vogliono che abbassiamo i prezzi – che in ogni caso sono stabiliti dai singoli Comuni, e che in quello di Carpi sono stati aggiornati dal 1° dicembre 2011, dopo sette anni – devono abbassarci i costi”. Tra le spese sostenute dalla categoria c’è infatti, oltre al carburante, anche il posteggio – 310 euro all’anno per ogni vettura – il commercialista e i contributi. L’adesione alla manifestazione di Modena della scorsa settimana è stata pressoché unanime, perché tutti ci dicono che non si può accettare che venga ulteriormente precarizzato un mestiere già difficile. “Non facciamo nemmeno la pausa pranzo – ci spiega Carlo – e garantiamo un servizio 24 ore su 24”. Oltre al turno giornaliero dalle 7 alle 20 ve ne sono altri due: dalle 5 alle 13 e dalle 20 alle 24; dalle 6 alle 13 e dalle 20 alle 5 della mattina dopo. “Il lavoro del tassista poi è altissimo rischio: non si sa chi si carica e, a volte, si hanno anche brutte sorprese, come clienti che ti minacciano, ubriachi o persone che scappano senza pagarti la corsa” conclude Carlo, che nel proseguire l’elenco delle sue ‘buone ragioni per dire no’ ha palesato un’esasperazione sempre crescente. “Ma poi, se facciamo fatica ora a sopravvivere con i margini che abbiamo, come si potrebbero abbassare ulteriormente i prezzi?” domanda Aniello. Sull’efficacia delle proteste i pareri sono discordanti. C’è chi pensa che, essendo quella dei tassisti una categoria che ha scarsa capacità di incidere sui luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, nessuna delle loro ragioni sarà accolta. Altri invece sono più combattivi. Tra loro, Danilo: “La situazione è nera, ma se questo Governo delle banche andrà avanti per questa strada, senza neppure un briciolo di concertazione e dimostrando una totale ignoranza su come funziona il settore, per prima cosa bloccheremo l’Italia intera: porti, aeroporti, stazioni e autostrade. I tassisti, se vogliono, possono davvero fermare questo Paese e il Governo lo sa”. Secondo questo combattivo esponente della categoria, inoltre, la liberalizzazione sarebbe nient’altro che un cavallo di Troia. “Sarebbe una legge fatta per far entrare nel settore i soliti noti – Montezemolo, Marcegaglia – o le compagnie straniere, dato che l’Italia ormai è in svendita. Se passasse la norma per la quale fosse possibile acquistare più licenze e non ci fosse più il legame con il territorio, in un futuro i grossi gruppi industriali entrerebbero nel settore, mettendo a libro paga una manovalanza sfruttata”. “Ma dico – continua – lo sapete che la polizza RC auto la paghiamo il 50% in più di un’auto normale, perché secondo le assicurazioni saremmo più a rischio, quando invece probabilmente è tutto il contrario?”. Insomma le ragioni per rispedire al mittente la prevista apertura del mercato sono, secondo gli operatori carpigiani, molte e diversificate. Va detto però che alla fine Donato, prima di salutarci, ci lascia con una convinzione. “Le liberalizzazioni non vanno fatte a noi, ma dove realmente c’è il monopolio: autostrade, energia, notai, farmacisti. Nel 2010 ho dichiarato poco più di 30mila euro lordi, e mi devo ritenere fortunato.In pratica percepiamo lo stipendio di un operaio, con la differenza che abbiamo investito tutti i nostri soldi e lavoriamo il doppio. In Irlanda ci sono stati 9 suicidi da quando hanno liberalizzato, e in Olanda – a Rotterdam – c’è la tariffa più alta d’Europa nonostante la liberalizzazione. Quando hanno liberalizzato i bar, qualcuno ha per caso notato che sia diminuito il prezzo di una tazzina di caffè?”.
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