La discriminazione nasce in culla

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Le dichiarazioni del ministro dell’integrazione Cécile Kyenge che più hanno fatto discutere, suscitando un vasto dibattito e scatenando reazioni anche veementi, sono quelle riguardanti lo ius soli, ovvero la disciplina, già in vigore in altri Paesi europei e negli Stati Uniti, secondo la quale i bambini nati sul territorio di una nazione ne acquisiscono automaticamente la cittadinanza. Tra il timore che l’Italia possa diventare “la sala parto d’Africa” da un lato e l’irrazionale paura dall’altro, la discussione non accenna a spegnersi. Con 3,4 milioni di cittadini stranieri – pari al 5,8% della popolazione – l’Italia è al quinto posto, appena dopo la Francia, per numero di immigrati tra gli stati dell’Unione Europea, ed è quindi naturale che il dibattito su come gestire i flussi migratori e le politiche di cittadinanza sia di stringente attualità. Ma cosa ne pensano gli stranieri presenti sul nostro territorio? Gli immigrati che da diversi anni risiedono a Carpi concordano, seppur con toni e sfumature differenti, con le dichiarazioni della ministra. Abituati come sono a doversi confrontare con realtà quotidiane complesse, molti dei ‘nostri’ immigrati hanno i piedi ben piantati a terra. “Sarei per lo ius soli, ma con un periodo di prova – spiega Irena Jagiello – perché se fosse automatico potrebbe comportare il rischio che le donne incinte siano portate in Italia apposta per partorire. Farei aspettare qualche anno, per avere la sicurezza che il neonato rimanga in Italia, come gli adulti, che devono aspettare la cittadinanza per alcuni anni. I dieci che occorrono attualmente sono in ogni caso assurdi. Penso che, come i cittadini comunitari, quattro o cinque sarebbero sufficienti e applicherei la stessa durata per quel che riguarda i bambini. Un piccolo nato in Italia, dovrebbe cominciare a frequentare la scuola da cittadino italiano”. A chiedere tempi più rapidi per l’ottenimento della cittadinanza è anche Mohammad Iqbal Shah, di origini pakistane. “Oggi occorre davvero troppo tempo per ottenerla e finché c’è soltanto il permesso di soggiorno occorre confrontarsi con una burocrazia infernale, fare un’infinità di giri tra Questura, Comune e uffici per l’immigrazione, oltre a spendere un sacco di soldi. La cittadinanza serve per costruirsi un’esistenza serena, per partecipare attivamente alla vita della propria comunità. Non ci sono pace e integrazione autentiche senza passare per un’inclusione più veloce. Continuare ad aver paura delle differenze non aiuta a progredire, mentre tanti immigrati non aspettano altro che di potersi sentire italiani fino in fondo”. Concorda con la Kyenge anche il 21enne moldavo Alexandru Mihalas, da otto anni in Italia con la madre: spero che il ministro possa fare qualcosa di concreto, soprattutto per i giovani stranieri che studiano qui. Per me, per esempio, poter votare sarebbe un sogno; essere cittadini italiani significa avere un mezzo in più per capire e rispettare i doveri presenti nella Costituzione, oltre che a goderne i diritti”. Dal canto suo Ousmane Cissé invita a non fermarsi al luogo di nascita del ministro. “E’ importante il contenuto, non la forma. E’ poco produttivo che quello per l’integrazione sia un ministero senza portafoglio, perché un dicastero così strategico dovrebbe avere i mezzi concreti per realizzare dei cambiamenti, altrimenti si rischia di assistere soltanto a un’operazione di facciata. In ogni caso le dichiarazioni della Kyenge rappresentano un segnale che aspettavamo da tempo. Tutti i bambini nascono nudi, uguali, e per questo dovrebbero essere vestiti degli stessi diritti. Non scelgono di nascere in Italia, ma qui vengono al mondo, e questa dovrebbero poterla chiamare casa. Se la discriminazione nasce dalla culla per poi trascinarsi e ingigantirsi nel tempo, porvi rimedio più avanti può essere davvero difficile”. Una considerazione concreta proviene da Maria Danci, 32 anni, di origini rumene, in Italia da anni col marito e i tre figli: “siamo qui da sei anni e mi piacerebbe che i miei bambini fossero italiani, ma ancor prima occorre far fronte alla vita di tutti i giorni, come il lavoro, che di questi tempi scarseggia, e i costi della scuola per tre bambini, che non sono affatto trascurabili”.
Marcello Marchesini