“Il muscolo più importante è il cervello”

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I giorni 22, 23 e 24 novembre un Club Giardino gremito e tirato a lucido per l’occasione ha accolto il gotha della pedagogia e della formazione calcistica: Horst Wein, rivoluzionario teorico di una prassi di formazione “totale” del giovane calciatore, e i suoi collaboratori (Nardini e Anglana) hanno tenuto un ciclo di lezioni insieme ad Adriano Bacconi. Quest’ultimo, noto agli appassionati di calcio per le frequenti apparizioni televisive in qualità di analista tattico puntualissimo ed ex collaboratore di Marcello Lippi in Nazionale, è impegnato nello sviluppo del progetto Calcio 4D: si tratta di un ciclo di corsi tesi a divulgare sul territorio italiano i valori di aggregazione e ‘cooperazione solidale’ stanti alla base del gioco di squadra oltre che a promuovere uno studio concettuale approfondito del calcio, con il supporto delle moderne tecnologie. Al cospetto di circa 250 tra allenatori e addetti ai lavori, si è dunque concretizzata una sinergia destinata a proseguire in futuro se, come sembra, le due ‘scuole di pensiero’ intendono intraprendere insieme un percorso didattico all’interno della Sports 4D University (nome che allude alle quattro dimensioni tanto care a Bacconi, vale a dire le tre dimensioni spaziali e cui si aggiunge quella temporale della ‘sincronia’, che risulterebbe decisiva nell’esecuzione tattica). Le due elites di studiosi saranno infatti impegnate a promuovere un ciclo di lezioni e seminari su tutto il territorio nazionale rivolti a chi intenda conseguire una certificazione universitaria nell’ambito e, dunque, concretizzare professionalmente la propria passione. Anche al Club Giardino l’appuntamento ha riscosso grande successo tra i presenti. L’apertura è stata dedicata all’esposizione dei principi fondamentali di quella che pare potersi definire una filosofia umana e calcistica, quella di Horst e Anglana. Il termine non pare fuori luogo se si pensa che Horst è da tempo teorico di un’idea complessiva del calciatore che, quasi cartesianamente, importa come soggetto pensante ancor prima che come esecutore del gesto tecnico. “Gli allenatori si concentrano sistematicamente sull’esecuzione” è la critica sollevata da Anglana in avvio “laddove prima viene l’interpretazione, la scelta e la percezione dello scenario di gioco in cui ci si sta muovendo e si opera”. “Il muscolo più importante di cui l’uomo, e dunque il calciatore, è dotato, è il cervello e, paradossalmente è quello che alleniamo in minor misura”, constata con amarezza lo stesso Anglana, mentre alle sue spalle scorrono le immagini dello scriteriato posizionamento tattico della mediana inglese in un recente match con la Polonia. Di accenti quasi mistici è il monito, affascinante, ad “applicare le regole della natura, senza avere fretta e con pazienza”, in modo tale da poter plasmare l’apprendista calciatore. Nella trattazione tattica e pedagogica non mancano allusioni di colore, a sostegno di concetti altrimenti non sempre facili: “un calciatore che conosca alla perfezione ogni singolo gesto tecnico rischia di rivelarsi come quel giapponese che conosce tutto il vocabolario inglese ma, una volta in Inghiliterra, non è in grado di mettere insieme una frase”. E’ dunque la necessità di insegnare ‘sintassi calcistica’ uno degli aspetti più cari a Horst e Anglana, che amano assimilare l’apprendimento del gesto tecnico da parte del bambino alla naturalezza con cui si apprende la lingua madre. Ma vi è un altro punto su cui Horst è estremamente chiaro: la formazione calcistica (“noi non siamo istruttori, che è una brutta parola, ma formatori”) dev’essere graduale e ragionata: scaraventare il giovane calciatore in un contesto in cui si muovono altri 21 individui, equivale a “gettare un neonato in piscina e pretendere che impari a nuotare immediatamente”. Di qui l’accento posto su una diversa metodologia teorica e di allenamento centrata sul cosiddetto Funino, ovvero una delle più significative acquisizioni pratiche che il calcio deve al ‘metodo Horst’: si tratta di partite di 3 contro 3 a quattro porte che, secondo la tradizione, costituirono un punto fermo della formazione tecnica di Xavi Hernandez, capitano del Barcellona notoriamente dotato di un’intelligenza tattica non comune (e non a caso, Wein Horst è considerato uno degli ispiratori della cantera blaugrana e della convinzione che fosforo e ingegno costituiscono l’indiscussa premessa alla formazione del calciatore). In un contesto di gioco di questo tipo, asserisce Horst, non solo l’abilità tecnica ma anche le facoltà intellettuali risultano sistematicamente sollecitate: il calciatore è costretto a pensare e a farlo rapidamente. Venerdì pomeriggio è stato anche il turno di Adriano Bacconi, che negli ultimi tempi si è dimostrato capace di affascinare anche il pubblico di non addetti ai lavori, come dimostra il grande successo televisivo riscosso dalle sue analisi tattiche. Bacconi introduce le proprie convizioni a partire dal cosiddetto metodo “El-Sha – Montolivo”. Con questa formula l’esperto allude a un’azione in particolare di Milan-Lazio in cui il comportamento dei milanisti El Shaarawy e Montolivo esprimerebbe la necessaria sintonia “umana e psicologica ancor prima che tecnica”. Nel caso particolare, afferma Bacconi, “Montolivo sa che El Shaarawy vuole la palla sulla corsa, ed El Shaarawy va negli spazi perché sa che da Montolivo può aspettarsi un lancio di 40 metri preciso, sui piedi. Ma c’è di più, c’è sincronia, c’è intesa”. L’esperto inizia dunque a testare la ricettività del pubblico con una domanda: “quando è che El-Shaarawy inizia a correre, esattamente?”. Dopo qualche risposta non del tutto soddisfacente, dal fondo della sala proviene l’intuizione che riscuote il plauso del relatore: “quando i due si guardano”, ossia quando, precisa il relatore, “si crea un canale percettivo”. E’ qui che le due scuole di pensiero si incontrano, che le convinzioni di Horst e Bacconi non possono che confluire in una naturale sinergia, a prescindere dai backgrounds diversi da cui i due provengono: l’estrema attenzione per il calcio come ‘scienza umana e logica’ incontra e ben si sposa con l’analisi scientifica di come le relazioni umane incidono sugli assetti tattici. Della bella iniziativa del Csi di Carpi, grazie all’impegno di Riccardo Soragni, si ricorda il grande successo riscosso tra i partecipanti, entusiasti della competenza, della chiarezza didattica e della vivacità dei relatori animati da una passione d’altri tempi, e soprattutto la ferma convinzione che una nuova pedagogia calcistica e dunque un nuovo calcio siano possibili. La formazione del calciatore non può prescindere dal divertimento. Horst è noto per la sua critica a un sistema educativo, particolarmente diffuso in Italia, che, troppo spesso, si dimentica del piacere del gioco, della componente ludica che costituisce la sola e unica ragione per cui, sin da piccolini, si è indotti a rincorrere un pallone. “Se chiedete a loro – affermava egli stesso in una recente intervista, alludendo ai bambini cui proponeva il proprio metodo – vi diranno che non vedono l’ora di tornare al campo d’allenamento; e dato che allenarsi due volte a settimana non è assolutamente sufficiente, e che d’altra parte è mostruoso dover costringere un bambino, appare fondamentale educare al gesto tecnico nel segno del divertimento e non della competizione sfrenata, delle tensioni controproducenti e di una sciocca ambizione a tutti i costi. La mania di stilare campionati e classifiche porta solo negatività e tensioni”. Un aspetto, questo, cui ha accennato lo stesso Bacconi, il quale ribadiva durante il meeting che “l’agonismo, in quanto innato e istintivo nel bambino, non necessita di essere instillato o esasperato: al più occorre disciplinare l’energia, la passione e il sentimento”. Non certo annientarlo in un ingorgo di competizione sfrenata e ansie da cui non possono che conseguire maleducazione e irrispetto reciproco. E, in questo senso, l’Italia non costituisce uno degli ambienti più favorevoli all’educazione umana e quindi tecnico-tattica del calciatore se, come sentenziava lo stesso Horst, certi allenatori e “troppi genitori” ispirano l’insana ambizione di vincere subito “già a dodici anni”. Un macroriflesso dello status quo di incultura calcistica imperante, ci permettiamo di aggiungere, si può scorgere nei vari ranking europei: un calcio italiano logorato da tensioni, ansie di vittoria e sindromi di complotto arranca paurosamente al cospetto di chi sul talento e sulla novità, sui giovani e sull’internazionalizzione, sull’incontro di diverse etnie e culture calcistiche ha costruito un impero con cui, a ora, la resistenza al cambiamento e l’incultura di un sistema come quello italiano non può ambire a competere.
Federico Campedelli

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