Nell’aria è tornato a solleticare le narici il dolcissimo profumo dei tigli. Presagio d’estate, quell’odore inebriante è diventato anche il puzzo del terremoto. Impossibile dimenticare quei momenti, quando la paura e l’incredulità aleggiavano sui visi impalliditi di tutti noi. Tesi e ammutoliti ci siamo stretti gli uni agli altri, per trovare un coraggio latitante. Una forza che pareva non albergare più nelle nostre anime provate. Al dolore della perdita e al crollo delle certezze si è poi sommata la rabbia.
Per i ritardi, le lungaggini burocratiche, l’impossibilità di accedere ai risarcimenti in tempi brevi. La brava ed efficiente Emilia è implosa sotto il peso del sisma. Scartoffie e labili promesse hanno esacerbato gli animi di coloro che, da un momento all’altro, in quei drammatici giorni di maggio, hanno perduto tutto. Seppelliti sotto le macerie, i ricordi di una vita intera. Le fotografie delle proprie nozze, i primi passi dei propri figli… La vita.
Ad accompagnare la quotidianità dopo il sisma, solo frustrazione e indignazione. Compagni difficili da digerire. Il percorso della ricostruzione è ancora lungo. Oltre ai mattoni, ognuno deve rimettere insieme i pezzi di sè, sparsi qua e là dopo un trauma che non credevamo possibile. Non qui. Non nella nostra grassa e fertile terra d’Emilia. Improvvisamente matrigna, questa terra ci è diventata nemica, ostile. Non ha tutti i torti. Da anni martoriata, ferita e bucata, ha gridato basta! Ascolteremo quel grido di aiuto che ci ha messi in ginocchio?
O lasceremo che gli interessi di pochi continuino a prendere il sopravvento? La direzione intrapresa dalla Regione Emilia Romagna non lascia ben sperare. Nonostante la Commissione incaricata dall’ente istituzionale sia giunta alla conclusione che non si possa escludere la possibilità che lo sfruttamento di idrocarburi nella concessione di Mirandola possa aver contribuito a innescare l’attività sismica del 2012, e che l’evento principale del 20 maggio sia statisticamente correlato con l’aumento dell’attività di estrazione e re-iniezione di Cavone, il presidente Errani ha chiuso un occhio. Dapprima tentando di insabbiare il rapporto e poi, messo alle strette, annunciando di aver sospeso ogni nuova attività di ricerca e coltivazione. Peccato che le trivellazioni in corso, Cavone compreso, continuino bellamente e che, alla resa dei conti, la sospensione delle attività di ricerca ed estrazione degli idrocarburi da parte della Regione non sia vincolante, poiché l’ultima parola in termini di permessi è soltanto dello Stato. Poco importa quindi se Errani si riempie la bocca di dolci parole, annunciando che nell’area del cratere, sette famiglie su dieci sono tornate a casa. Ce ne sono ancora 5.831 che non vi hanno fatto ritorno e non hanno la ben che minima idea di quando questo sarà possibile. Bugie e mezze verità che hanno l’amaro sapore della beffa: a vincere non sono i cittadini bensì le grandi lobbies. Tornerà il tempo in cui i tigli che profumano l’aria saranno soltanto un delizioso annuncio d’estate? Forse. Non ora però. Non qui. Dopo il dolore, il terrore e la rabbia, questo è il tempo di vigilare e, nel nome del principio di precauzione, di difendere il nostro territorio dalle mani lunghe di coloro che barattano la nostra sicurezza per rimpinguarsi le tasche.
Jessica Bianchi