La paura del diverso si cura con la conoscenza

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“La differenza è che noi siamo venuti qui per ragioni principalmente economiche, per avere una vita migliore, mentre i nostri figli vogliono partecipare, essere una parte importante di questa società. Quando sono arrivato mi chiamavano vuccumprà, trovare qualcuno che ti affittasse casa era un’impresa quasi disperata, mentre grazie ai nostri figli le cose stanno cambiando”. E’ racchiuso in questa frase, pronunciata dal padre di Sofia Moudni – una delle ragazze che, insieme a Ossama El Hamriti, Hamdi Mbarki, Anis Othmani e Ilham Amal, compone il direttivo della sezione carpigiana dei Giovani Musulmani d’Italia – il senso di Stop all’islamofobia, l’incontro organizzato la scorsa settimana in una Sala Peruzzi gremita di studenti e insegnanti delle scuole superiori. “Non si tratta di un’occasione per fare proselitismo – ha spiegato Ossama El Hamriti – tutt’altro: vogliamo presentarci e far comprendere quanto crediamo nel dialogo e nel rispetto. Siamo aperti a tutti e ci interessa trasmettere valori civici, il volontariato e la partecipazione. Capisco che i miei genitori non si siano integrati totalmente, così come so che i miei figli lo saranno più di me. Nell’Italia di oggi, e ancor più in quella di domani, vogliamo contare”. Niente terrorismo o integralismo, insomma. Anzi, i giovani delle seconde generazioni, molto dinamici ed entusiasti, sono stanchi di doversi scusare o dissociare da ogni atto violento compiuto in giro per il mondo in nome della religione. “Il messaggio dell’Islam non ha nulla a che fare con il terrore, il sangue e l’oppressione, e io non ho nulla a che vedere con i massacri o le bombe”, spiega Ilham. Nel corso della serata ha portato la propria testimonianza anche Carmela Tramontana, insegnante di scuola elementare convertitasi all’Islam, che ha sottolineato come la conoscenza dei testi delle altre fedi sia fondamentale per il dialogo tra  religioni. “Di certo non basta guardare la Tv, che tende spesso a banalizzare e presentare solo gli aspetti negativi e allarmanti delle questioni. Oltre ad aver provocato 12 vittime, i terribili attentati di Parigi hanno danneggiato tutti i musulmani. L’uomo strumentalizza la fede da sempre e questi atti di religioso non hanno nulla, bensì sono causati da interessi economici e politici. Dobbiamo sforzarci di conoscere l’altro, perché che ci piaccia o no siamo tutti sulla stessa barca, e bisogna imparare a navigare insieme”. Di islamofobia ha poi trattato il coordinatore della comunità islamica di Bologna, Yassine Lafram: “bisognerebbe iniziare a parlare delle comunità islamiche, al plurale, perché il milione e seicentomila musulmani che risiedono nel nostro Paese proviene dai luoghi più diversi. Purtroppo devono avvenire tragedie per promuovere incontri di questo tipo, perché si comprenda l’importanza della reciproca conoscenza. Lo stesso Papa ha detto di evitare le odiose generalizzazioni, ma d’altro canto noi musulmani non dobbiamo cadere in un certo vittimismo, perché non tutto è rubricabile alla voce razzismo. Con Parigi si è colpito uno dei valori fondanti per l’Europa, quello della libertà d’espressione, libertà in virtù della quale noi stessi siamo qui a poter discutere senza che nessuno ci tolga la parola. E’ ora di capire che lo scontro non è tra religioni ma tra un’ideologia del terrore e i Paesi del mondo. In Italia, sinora, è mancato un modello di integrazione: si è agito soltanto sulla spinta dell’emotività e dell’emergenza di turno, senza mai capire che tipo di nazione si immaginava nell’arco dei decenni successivi. Il risultato? Si è molto preoccupati di chi bussa ai nostri confini e poco di chi è già dentro, andando a restringere di volta in volta i criteri per il diritto alla cittadinanza, e arrivando a pretendere quasi che l’immigrato debba essere migliore dell’Italiano medio. Che in Italia, per esempio, ci siano soltanto sei moschee ‘ufficiali’, permettendo così il proliferare di una certa anarchia, senza un albo degli Imam, senza un’intesa tra lo stato e l’Islam, che invece esiste in molti altri Paesi europei, non è un bene. Ai miei confratelli dico che in quanto musulmani dobbiamo partecipare al bene della collettività senza pensare di dover esserne i ‘salvatori’. Occorre impegnarci per essere parte della soluzione, non del problema. Ma in questo anche lo Stato deve aiutarci”.
Marcello Marchesini