Nel 1989 David Strachan ipotizzò che precedenti infezioni virali nei bambini aumentassero il rischio di sviluppare allergie, ma quello che scoprì fu l’esatto contrario. Nel 1990 Erika von Mutius ipotizzò che i bimbi poveri cresciuti in ambienti rurali e condizioni igieniche precarie avessero una più alta incidenza di allergie, ma dimostrò l’esatto contrario. Nacque così la “teoria igienica” secondo cui la mancata esposizione nella prima infanzia ad agenti infettivi, aumenta la suscettibilità alle malattie allergiche sopprimendo lo sviluppo naturale del sistema immunitario. Nel 2003 Graham Rook integrò la teoria con quella dei “vecchi amici perduti”: non è la mancata esposizione ad agenti infettivi a essere diventata carente ma piuttosto il progressivo impoverimento di quei microorganismi “simbiotici” che avevano sempre convissuto con l’uomo. L’intestino ospita buona parte del nostro sistema immunitario e il microbiota ne è un fondamentale regolatore. In particolare sembra che l’esposizione ai microbi simbiotici sia fondamentale nella induzione della tolleranza immunologica. La realizzazione della tolleranza è importante per prevenire lo sviluppo di allergie e ipersensibilità alimentare. Sappiamo da tempo che i bambini nati da parto cesareo, quelli nati pre-termine, quelli allattati con formula e i bambini cui sono stati somministrati antibiotici nei primissimi mesi di vita hanno tutti un rischio maggiore di sviluppare dermatite atopica, asma e allergie alimentari. Ciò che accomuna tutti questi piccoli è uno stato di disbiosi con una riduzione significativa dei bifidobatteri che non hanno ricevuto durante il passaggio nel canale del parto o attraverso il latte materno o che sono stati distrutti dalle terapie antibiotiche. Ma la perdita della tolleranza immunologica non porta solo alle allergie. Quando perdiamo la tolleranza verso parti del nostro stesso organismo nascono le malattie autoimmuni. Se il sistema immunitario attacca le cellule che producono il nostro pigmento, la melanina, sulla pelle potrebbe comparire la vitiligine; se attacca i follicoli piliferi potremmo avere un’alopecia areata, ma lo stesso meccanismo sta alla base di malattie anche molto più “gravi” come il Morbo di Crohn, il diabete di tipo 1, l’artrite reumatoide, la sclerosi multipla e il Parkinson.
La briciola di Sandro Santolin…
Come tenere in vita enzimi e microflora in un prodotto da forno come Primus Pane?
Questi interessanti ospiti che ci donano bontà, profumi e l'acidità caratteristica che tiene alla larga muffe e batteri meno desiderabili, sono variamente termolabili cioè muoiono progressivamente all'aumentare della temperatura per cui anche la cottura più delicata possibile ne farebbe una strage.
Problema veramente grande. Per la soluzione mi è venuto in aiuto il ricordo del prof. G. Battista Quaglia redattore di un breve testo sulla lievitazione naturale a pasta madre che sentenziava: "in certe pagnotte da 2 kg prodotte in meridione la parte più centrale del pane (il pulcino) resta in parte viva e nel tempo ricolonizza tutto il resto della pagnotta".
La soluzione che abbiamo adottato per tentare di tenere in vita il pulcino è in controtendenza ed antieconomica: cottura a bassa temperatura in due tempi inframmezzati da un raffreddamento .
In una prossima briciola spiegherò in dettaglio i risultati questo metodo di cottura.