Che Carpi non sia più quella di una volta lo dicono tutti: imprenditori, sindacati, lavoratori, associazioni, enti, gente comune… vedono fabbriche chiudere l’una dopo l’altra e serrande di negozi abbassarsi.
E con la crisi economica cominciata qualche anno fa e il conseguente aumento di disoccupati e cassintegrati, è profondamente cambiato anche il modo di vivere della gente. I carpigiani sono sempre laboriosi, attivi e fantasiosi perché queste sono le loro caratteristiche intrinseche, ma ora sembrano depressi e preoccupati per il futuro e per la mancanza di alternative all’industria della maglieria che ha arricchito per quasi mezzo secolo il nostro territorio.
I carpigiani sono orgogliosi come un tempo, ma si rendono conto che quella macchina produttiva, fantasiosa e propositiva che avevano creato dal nulla a partire dagli Anni ’50, rendendo ricca e florida questa terra, non c’è più. Dove c’era piena occupazione, ora si registra disoccupazione, soprattutto femminile. Al desiderio di divertirsi è subentrato un atteggiamento sobrio, riservato, quasi rassegnato. Le strade colme di gente della ‘notte bianca’ non devono trarre in inganno, perché quelle strade sono quotidianamente semi deserte e la gente spende sempre meno.
Un tempo i bar erano pieni di avventori, ora non più, si animano solo in certe ore. Troppo poco, dicono i gestori, per andare avanti. Perché la gente ha perso la fiducia nel domani e spesso anche nel proprio lavoro. Ecco allora che esplode il fenomeno dei nuovi gestori dei locali pubblici, tutti cinesi, a rilevare i carpigiani che hanno alzato bandiera bianca.
Una volta gli alberghi facevano registrare per parecchi mesi all’anno il tutto esaurito, non di turisti, bensì di uomini d’affari, rappresentanti, dirigenti, consulenti, soprattutto tedeschi, attratti dalla nostra industria della maglieria. Ora non più.
“I disoccupati che hanno presentato domanda presso il nostro patronato – spiega Giulia Moretti, segretaria della Cgil – sono più di 1.000 nel 2016 e le nuove assunzioni sono per il 70% a tempo determinato, altro che ripresina. Carpi era il centro della Provincia col più alto tasso di occupazione femminile nelle aziende, ora non è più così. In un quinquennio il distretto tessile ha perso il 35% dell’occupazione. Non solo il tessile, anche il meccanico è in crisi con un calo di occupazione del 14 per cento, con le chiusure di Sicar e Sueri e le ricapitalizzazioni e acquisizioni straniere (cinesi e americane) di Goldoni e Angelo Po. Per il settore alimentare è ancora incerto il futuro di Italcarni passata dal concordato alla liquidazione coatta amministrativa, attualmente affittata da una cooperativa di allevatori mantovani e in attesa di un’asta del tribunale di aggiudicazione definitiva. Nelle liste di disoccupazione a Carpi risultano iscritte 5mila persone rispetto alle 2.800 del 2013 e il 55 per cento sono donne”.
Non meno severo e preoccupato il parere di Roberto Giardiello di Cisl: “il jobs act, – commenta il sindacalista – che ha reso più stabile una parte dell’occupazione prima precaria, non basta. Qui si sono tagliati pesantemente gli ammortizzatori sociali, soprattutto per le piccole aziende, senza aver prima costruito una via di uscita dalla crisi, la quale appare sempre più come uno stato di fatto permanente. Le aziende che vanno bene non producono sufficiente occupazione, crescono nel fatturato senza creare lavoro. Inoltre, in questa fase già critica, si è inserita un’ulteriore difficoltà, quella dei Consorzi fidi che per anni hanno dato una mano alle piccole imprese. L’accesso al credito rimane un problema, come ci segnalano molte aziende, e contribuisce a creare tensioni. In qualche caso con troppa disinvoltura sono stati revocati fidi ad aziende che, messe alle strette, a loro volta hanno messo il personale in cassa integrazione o peggio. Questo, unito a qualche procedura di concordato che la legge fallimentare ha reso troppo facile, in più di un caso è stato elemento decisivo per la cessazione di attività di aziende già esposte anche alla concorrenza sleale di chi non rispetta le norme (lavoro nero, evasione e mancato rispetto delle norme di sicurezza) poiché quello della crescente illegalità nel nostro sistema produttivo è un altro serio problema. Ci raccontano in televisione e sui giornali che la crisi è finita ma non è vero niente e la tante vertenze aziendali aperte nel carpigiano ne sono una conferma. Serve un vero Patto di Comunità per il nostro territorio che sta diventando ex ricco se non saprà reagire”.
A unirsi al coro è anche il segretario della Uil, Luigi Tollari: “le ore di cassa integrazione sono in aumento, le imprese con un glorioso passato sono precipitate in una spirale recessiva. Si perdono centinaia di posti di lavoro, non c’è un settore che dia segnali di ripresa capaci di assorbire parte della mano d’opera espulsa da altri comparti. Resta anche qui il problema della disoccupazione giovanile, femminile e degli Over 50. Per questo non condividiamo l’ottimismo enunciato spesso con enfasi da Regione e Governo circa presunte riprese economiche”.
Il presidente provinciale di Lapam, Luigi Munari, ha recentemente dichiarato che, per quanto riguarda la realtà carpigiana, “il settore manifatturiero, risorsa base della nostra realtà produttiva, andrebbe sostenuto, ma invece non si fa abbastanza per aiutarlo. Carpi e la Provincia di Modena rappresentano una fetta importante del manifatturiero italiano. Per questo le scelte del Governo e della Regione devono essere volte a sostenere le nostre capacità produttive, apprezzate in Italia e all’estero”.
Insomma è una Carpi diversa quella che ci troviamo davanti alla ripresa delle attività autunnali. Una Carpi appesantita dal carico delle spese sociali per l’invecchiamento della popolazione, il costante aumento della popolazione immigrata e il contemporaneo calo di imprese e dipendenti. Nuove e vecchie povertà si sommano, come testimoniano anche i dati della Caritas diocesana che, coi suoi generosi interventi, insieme a quelli svolti dalle parrocchie, sta dando un aiuto importante ai Servizi Sociali dell’Unione delle Terre d’Argine, i cui operatori non sanno più come rispondere alle quotidiane richieste dei poveri, italiani e stranieri, in ragione anche dei tagli del Governo alla spesa sociale. Un addio alla Carpi di un tempo, alla Carpi dei sogni e delle visioni legate agli anni del boom economico? Pare proprio di sì.
Cesare Pradella