Dopo Parigi nulla sarà più come prima

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“La nostra generazione ha goduto sinora di una grande libertà. Dopo gli attentati di Parigi tutto è cambiato. Io personalmente ho paura ma credo che nessuno di noi debba esimersi dal cercare di capire. Di informarsi. Discutere. Solo così, attraverso la conoscenza, potremo aiutare le persone ignoranti a leggere la realtà con maggiore senso critico. La nostra dev’essere una sorta di cura dal basso, anche attraverso un uso corretto dei social media. Della Rete”. Le parole di Davide Abba, studente della 4A Informatica dell’Istituto Itis Leonardo da Vinci tracciano, con lucida e puntuale precisione, una vera e propria linea di demarcazione. Un prima, lieve e scanzonato, e un dopo i fatti di Parigi, fatto di consapevolezza, autocritica e spaesamento.  La notizia degli attentati, che hanno stretto in una morsa di terrore l’intera Europa, è giunta subito dopo un viaggio di istruzione a Roma, dove gli studenti della 4AI e 4BI del Vinci, accompagnati dalle docenti di Italiano Simona Montorsi e Daniela Penta, hanno avuto la preziosa possibilità di essere accolti in Parlamento, nella splendida cornice di Sala Aldo Moro, dall’onorevole Edoardo Patriarca e dalla vicepresidente della Camera, Marina Sereni.  “Siamo rientrati a Carpi il 12 novembre, il giorno prima degli attentati nella capitale francese quando noi e i nostri studenti – sottolineano le due insegnanti – ci siamo posti una domanda: saremmo andati comunque a Roma? O avremmo fatto prevalere la paura?”. Quesiti che hanno scatenato numerose riflessioni tra i ragazzi: divisi a gruppi hanno analizzato gli articoli apparsi su alcune delle principali testate italiane (la Stampa, La Repubblica e Il Corriere della Sera), fatto ricerche on line e, al termine di questo lavoro, hanno formulato quattro interrogativi su cui confrontarsi. Come cambieranno le nostre abitudini? Cosa c’è dietro questa guerra? Come fare per fermare il terrorismo a livello politico-militare e civile-educativo? Domande importanti. Complesse, alle quali questi diciassettenni hanno tentato di rispondere con responsabilità e acume. A ricorrere con insistenza sono tre parole: conoscenza, istruzione e famiglia. “Edgar Morin diceva: Il fanatismo si combatte con la conoscenza. Credo che, purtroppo, per le forze scese in campo, sia ormai impossibile non parlare di una vera e propria guerra ma – sottolinea Sebastiano Bonini – sono convinto che per limitare il potere dell’Isis e della sua macchina di propaganda, sia necessario investire sull’istruzione, sulla scuola. Di fondamentale importanza anche limitare le risorse dell’autoproclamato Califfato, tagliargli i viveri per così dire. E poi continuo a domandarmi perché in Siria non venga tagliata la Rete: senza Internet, l’Isis non saprebbe più come comunicare e arruolare nuove leve”. Per Michael Trumbaturi i giovani che si lasciano conquistare dal messaggio di morte dello Stato Islamico, “non hanno fiducia nel futuro. La mancanza di opportunità e aspettative, unitamente a un ambiente famigliare, probabilmente estremista, costituiscono il terreno fertile per far avvicinare questi giovani ancora inesperti della vita al terrorismo. Fenomeno che diventa una sorta di risposta all’incertezza che sentono”. Alle sue parole fanno eco quelle di Anxhelo Qazimllari: “ognuno di noi ha la possibilità di scegliere chi essere e cosa diventare. Conoscere altre realtà, culture differenti, viaggiare… sono strumenti che ci consentono di comprendere meglio la realtà. Non rinunciarvi credo costituisca una risposta tangibile al terrorismo”. A parlare di integrazione è Francesco Vellani: “occorre investire sulla scuola per favorire l’integrazione e il dialogo interculturali sin da piccoli. Credo anche che la comunità islamica debba dissociarsi con maggiore forza dagli attentati, esprimendo apertamente il proprio rifiuto nei confronti del Califfato e della violenza. Purtroppo però oggi lo scontro armato è – e sarà – inevitabile. Dopo Parigi ogni dialogo sarebbe stato inutile: non c’era altra soluzione se non quella di attaccare”. “Dalla guerra non può nascere niente di buono – aggiunge Andrei Staicu – non penso sia la giusta risposta al terrorismo. Il problema vero credo sia a monte: una più efficace legge sull’immigrazione avrebbe evitato di giungere a questo punto. Oggi, al contrario, è impossibile capire chi vive tra noi. Distinguere, per così dire, i buoni dai cattivi”. Parigi ha cambiato qualcosa nei cuori di questi giovanissimi? Come la paura di nuovi attentati agirà in ciascuno di loro? Limiterà le loro aspettative, i loro sogni futuri? A rispondere per tutti, con decisione, è Valentina Porro: “non dobbiamo limitare le nostre azioni perché se cediamo alla paura facciamo il loro gioco. Non dobbiamo lasciarci condizionare da questo clima di terrore”. E la politica, quella che hanno toccato da vicino, in Parlamento, che ruolo potrà giocare in questa complessa scacchiera? “L’esperienza che ho vissuto a Roma – racconta con entusiasmo Andrea Castiello –  mi ha fatto ripensare a ciò che voglio diventare da grande. Dare tutto se stesso per il bene degli altri è un grande privilegio e la politica dovrebbe essere proprio questo: mettersi al servizio dei cittadini e adoperarsi per il loro benessere”. “Abbiamo capito – aggiunge Davinder Singh – come la politica non siano solo le solite facce dei salotti televisivi; al contrario è una macchina complessa fatta di persone che lavorano dietro le quinte, nelle commissioni, e si spendono per il bene comune”. La visita in Parlamento si è conclusa con il dono della Costituzione a ciascuno studente: una sorta di passaggio di consegne. Saranno loro a prendere tra le mani il futuro politico di questo Paese. Dopo averli ascoltati questo pensiero non può che riempirci di speranza.
Jessica Bianchi

 

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