La mia vita con la Sla

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Il carpigiano Claudio Lodi, classe ’52, di professione manager presso una multinazionale americana per la quale ha trascorso lunghi periodi all’estero come per esempio in Cina dove ha vissuto un anno e mezzo, ha formato una splendida famiglia con la moglie Luciana, scomparsa due anni fa a causa di un tumore e da cui ha avuto due figli ‘meravigliosi’ Gabriele ed Elisa, che gli hanno regalato tre nipotini Giacomo, Leonardo e Ludovica. Sei anni fa, ancora in piena attività lavorativa, mentre scrive al computer si accorge di invertire le lettere delle parole ma, inizialmente, non ci fa caso. Poi succede sempre più spesso e allora si preoccupa e cerca aiuto nel suo medico di base che prescrive una serie di indagini. Così inizia la sua storia, il 15 ottobre 2011, “con un pugno nello stomaco” perché così si è sentito quando i medici hanno confermato la diagnosi di SLA, Sclerosi Laterale Amiotrofica, malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale che permettono i movimenti della muscolatura volontaria. Pur bloccando tutti i muscoli, la SLA non toglie la capacità di pensare e la volontà di rapportarsi agli altri: la mente resta vigile ma prigioniera in un corpo che diventa via via immobile. Le cause della malattia sono sconosciute e al momento non esiste una cura ma solo una terapia per rallentare la progressione della malattia.
Parole come inguaribile, nessuna cura, seimila casi in Italia e aspettativa media di vita di due-tre anni  “hanno iniziato a graffiarmi nel profondo, simili a tremende mazzate. Inutile chiedersi il perché…Perché proprio a me… Ma la domanda principale è stata: e adesso cosa faccio? Ci sono solo due risposte a questa domanda: o sprofondi nella malattia, ti arrendi e aspetti la morte…o reagisci non volendo darla vinta alla SLA”.
Aveva 59 anni quando ha saputo di essere malato e oggi, a 64 anni, non ha smesso di darsi degli obiettivi da perseguire e dei progetti da realizzare e così è stato in udienza presso il Santo Padre a Roma, ha visitato l’Expo, ha assistito a Gualtieri al concerto di Ezio Bosso, malato di SLA da cinque anni come Claudio e sta organizzando una trasferta a Trento per la visita a una cantina locale, appuntamento pluriennale da non perdere. Frequenta assiduamente la casa di Roberta Lusetti a Novellara:  intorno a lei, pure malata di SLA, si è costituito un gruppo del quale Roberta è il catalizzatore: sono giovani ventenni di Novellara che compongono il  gruppo parrocchiale chiamato Sport e Ben – Essere e coordinato da Angela Tagliavini, che con Roberta e Claudio hanno costruito un percorso di formazione e crescita e hanno organizzato di recente, il 12 novembre scorso, nel Teatro Comunale di Novellara gremito all’inverosimile l’evento Io scelgo comunque la vita. Vivere con la SLA per permettere a tutti di conoscere l’impatto e i risvolti di una malattia poco nota attraverso la testimonianza di Roberta e Claudio, grandi protagonisti sul palcoscenico. “Col progredire della malattia il malato è spesso costretto a letto e qui sorge un grosso problema: come passare il tempo? Ogni malato si inventa qualcosa. Chi guarda la televisione, chi ascolta la musica, chi legge libri, chi si diverte a fare le parole crociate. C’è però anche chi non cerca neppure un passatempo, rimane a pensare, a riflettere, a morire lentamente…Il tempo come vedete assume una dimensione personale e siamo noi a decidere cosa farne, del poco che ci rimane. Io ho affrontato il problema quasi subito e ho deciso che non potevo stare a guardare le ante dell’armadio o la flebo che, goccia a goccia, fa scendere la pappa direttamente nel mio stomaco. Si è intensificata la passione di leggere libri e ho utilizzato i social network come Facebook per rinfrescare vecchie amicizie e farne delle nuove. Ma i social non bastavano e allora mi sono dedicato alla borsa vendendo e comprando azioni. Poi mi sono iscritto all’Università e mi sono rimesso a studiare Economia per capire perché perdevo soldi in borsa…”. Claudio è autoironico e a tratti diventa irresistibile. Le sue giornate sono piene e non ha il tempo di annoiarsi. “Certo che i miei tempi e ritmi non sono paragonabili a quelli di voi umani”. Il suo cruccio maggiore è legato alla comunicazione progressivamente sempre più difficile perché “quando la funzione respiratoria è compromessa e si interviene con la tracheotomia cioè l’apertura di un foro in gola e l’affiancamento di una macchina che aiuta a respirare, l’aria non passa più per le corde vocali e quindi si perde la capacità di parlare. Addio quindi alla bella lingua italiana con il suo ampio corredo di sfumature e sinonimi. Come si fa allora a rimanere in contatto col mondo? Per gli amici più lontani si usa la tecnologia e con famigliari e badanti si sviluppa un linguaggio dei segni, finchè le braccia riusciranno a muoversi. Oggi utilizzo computer, smartphone, Ipad. L’ultima spiaggia è il comunicatore oculare, che permette di comunicare con gli occhi ma che tristezza dover esprimere concetti complessi e le nostre emozioni con una o due parole. L’altra faccia della medaglia è che siamo buoni ascoltatori e si impara a dare valore al silenzio e alla riflessione che sembrano non appartenere più alla vita caotica del giorno d’oggi. Quello della non comunicazione è sicuramente l’aspetto della mia disabilità che mi pesa di più”.
Più della mobilità, nonostante siano tanti gli ostacoli e le barriere architettoniche: edifici senza rampe di accesso, marciapiedi “alti una spanna” e assenza di ascensori adeguati. Ma tanto si sta facendo “per ampliare il nostro raggio d’azione grazie ai progressi della tecnologia”. La SLA non colpisce solo il paziente ma incide profondamente sul contesto nel quale vive: “non sottolineerò mai abbastanza il ruolo fondamentale che giocano la famiglia e gli amici per i quali la malattia agisce come un setaccio lasciando cadere le amicizie occasionali e interessate, mantenendo quelle vere e profonde come quella di Marco, Claudio ed Ernesto, amici da più di 50 anni, e alcuni miei ex colleghi di lavoro che tuttora frequento. Con un sorriso ti dicono “io ci sono, non sei solo, conta su di me. Avete mai pensato alla potenza di un sorriso? E’ contagioso e devastante nel senso buono del termine, è più efficace di mille parole. Usiamolo più spesso e non solo con i disabili”. Ci sono giorni in cui “il morale è sotto i tacchi ma non in tutti giorni può splendere il sole: la speranza di guarire, di non soffrire e di non morire, tutti gli ammalati hanno questa speranza nel cuore intrecciata a mille domande: riuscirà la ricerca a mettere a punto una cura per guarire? Sarà troppo tardi per me?”.
Con l’arrivo della SLA Claudio ha lasciato la sua prima vita, ha fatto “un salto quantico” e ha iniziato la seconda vivendo nel presente con uno sguardo diretto al futuro “anche se ho ricordi bellissimi del passato che custodisco in un cassetto segreto del mio cuore. Dalla vita ho avuto molto. Una bellissima famiglia, una moglie amatissima, due figli di cui vado orgoglioso, tre bellissimi nipoti, tanti amici e un lavoro interessante che mi ha portato a girare in tutto il mondo. Io ho paura di morire…ma mi sono preparato come meglio potevo. Da tempo ho fatto testamento anche quello biologico cioè le mie volontà sulle cure che accetto che mi siano fatte nel caso in cui la mia mente non fosse più in grado di funzionare, di decidere”.
Sara Gelli

 

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