Hospice: un’operazione sostenibile?

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Il volontariato, si sa, è ormai un tassello fondamentale del welfare locale. Senza il prezioso apporto del tessuto associativo, infatti, la sanità carpigiana – e non solo – di fronte a risorse calanti e alla crescente impennata di bisogni di una comunità sempre più vecchia e, di conseguenza, malata, arrancherebbe. Ma fin dove si può spingere il volontariato? Il tema della realizzazione di un Hospice da parte di Amo Carpi e Asp e Amo di Mirandola rilancia con prepotenza tale interrogativo. Abbiamo più volte ribadito come, la collocazione individuata per la costruzione di questa struttura dedicata al fine vita, ovvero l’ex fornace di di Budrighello a San Possidonio, sia alquanto controversa, poiché posta in una zona considerata dalla Verifica di assoggettabilità a valutazione ambientale strategica (datata 07.06.2011) ad “elevata pericolosità idraulica” a causa della vicinanza dell’argine del Secchia. L’operazione, lo ricordiamo, costa 3 milioni e 360mila euro, di cui oltre 900mila assicurati dai fondatori mentre la parte restante della cifra dovrebbe essere coperta dalle due Fondazioni di Mirandola (1 milione) e Carpi (oltre 1 milione). Una cifra importante che esige alcune riflessioni. Spetta davvero alle associazioni farsi carico degli oneri relativi all’acquisto di un terreno? E, ancora, è compito dei sodalizi, trovare le risorse necessarie per erigere muri? Non sarebbe forse maggiormente sostenibile intervenire su una struttura già esistente per tentare così di limitare i costi e occuparsi unicamente della gestione dell’Hospice, mettendo a disposizione di malati e famiglie un know out maturato in anni di esperienza? Perché, giusto per fare un esempio, il Comune di Carpi mette gratuitamente a disposizione dell’Azienda sanitaria di Modena un’ala dell’ex stazione delle autocorriere per realizzarvi la Casa della Salute e l’ente pubblico di San Possidonio mette sul piatto un costoso terreno incolto? Perché ci si è fossilizzati su quella ubicazione? Perché Amo rischia di affossare le proprie risorse finanziarie nel mattone? Le alternative si sprecano, dal Cantinone di Cortile (idea appoggiata anni fa dall’allora assessore alle Politiche sociali Alberto Bellelli ma bocciata da Amo Carpi) a una porzione dell’ex ospedale di Concordia, occupato oggi da una RSA, da poliambulatori, una piccola cappella e dalle camere ardenti (ndr – già nel Duemila la Regione Emilia Romagna aveva destinato 1 miliardo e 530 milioni di lire per realizzare un Hospice all’interno dell’ex Ospedale di Concordia, progetto poi inspiegabilmente scomparso) di proprietà dell’Ausl. Qualunque sia l’ubicazione, più o meno baricentrica tra Carpi e Mirandola, l’imperativo dovrebbe essere la salvaguardia del patrimonio economico dei tre soci fondatori, i quali costituiranno una fondazione di partecipazione: un soggetto terzo in grado di erogare servizi e che consente una partnership tra pubblico e privato. Ma quale sarà la funzione dell’Azienda sanitaria in questa complessa operazione? Non è infatti ancora chiaro quale ruolo ricoprirà, anche se lo studio di fattibilità dell’Hospice stabilisce che “l’Ausl di Modena non interverrà nella costruzione, ma contribuirà attraverso un’apposita convenzione, e solo dopo i necessari processi di accreditamento della struttura, a supportarne i costi di gestione”. Ci metterà personale oppure no? Non è dato sapere. Il nodo però è cruciale soprattutto per quanto riguarda il tema della sostenibilità futura di una struttura ad alta complessità. Il volontariato, tra l’altro alle prese con il difficile tema del ricambio generazionale, potrà farsi carico sul lungo termine delle onerose spese di gestione di un Hospice? Ne avrà le energie e le risorse economiche? La questione è spinosa e obbliga a una doverosa riflessione anche nel rispetto di tutti coloro che hanno generosamente offerto risorse per sostenere un progetto tanto necessario quanto imprescindibile di cui troppo poco si parla. Una maggiore trasparenza sarebbe certamente auspicabile.
Jessica Bianchi

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