Dolce e brusca come la vita. O come un’amarena.
Sono qui per le amarene (Mimesis, 2024) è questo il titolo del primo romanzo della carpigiana Anna Prandi, per anni stimata direttrice della Biblioteca Loria. Un libro agrodolce in cui non c’è spazio per la nostalgia bensì per i chiaroscuri della vita, dal tempo incantato e innocente dell’infanzia a quello ben più complesso degli adulti.
“Non è un memoir – sorride Anna Prandi – anche se l’ispirazione affonda le sue radici in ricordi ed esperienze personali, dal momento che i luoghi che racconto solo quelli in cui ho trascorso l’infanzia, dove mia madre è nata e cresciuta”.
A condurci per mano, nei primi Anni Sessanta, in un piccolo paese della Bassa parmense, tra un pugno di case incuneate tra l’argine e due fiumi, il Po e il Taro, è una bimba, Paola.
Ed è proprio il suo sguardo di bambina a guidarci in un viaggio alla scoperta di una comunità piccina, dove i legami sono forti e la condivisione è totale. Uno sguardo candido che si scontra con gli imprevisti che sconvolgono la vita della famiglia. Con l’aggressività di un mondo, quello dei grandi, inintelligibile. Segreto. Conflittuale.
Una terra, quella raccontata da Anna, in cui il tempo pare galleggiare. Fermo. Immutato. “La casa e il paese – prosegue l’autrice – sono reali. E’ lì infatti che ho passato tutte le mie vacanze estive, le festività, le sagre… Fino al liceo per me Carpi era il posto della scuola e del dovere, mentre quello del cuore e degli affetti era laggiù. Sul fiume”.
E se le emozioni sono quelle del “cuore”, le vicende invece sono state “pensate e scritte con gli strumenti della letteratura per creare una tessitura di storie che si intrecciano le une nelle altre”, sottolinea l’autrice.
“Sentivo il desiderio e il bisogno di raccontare esperienze che avevo vissuto, aneddoti che avevo sentito e che si erano sedimentati nella mia memoria, ma per farlo ho dovuto prendere distanza da me stessa e utilizzare il processo creativo per unire insieme tanti frammenti. Mi sono quindi concessa del tempo, per potermi concentrare e immergere completamente nella scrittura. Lontana dalle distrazioni e nel silenzio. Queste pagine sono nate veloci, mentre ero in vacanza, scritte a mano su un quaderno”.
Ad aiutarla sono state senza dubbio le numerose letture fatte “che mi hanno insegnato a usare le parole e a costruire storie. Me ne sono accorta qualche anno fa quando ho iniziato a scrivere racconti durante un corso di scrittura. E’ stato allora che mi sono resa conto di riuscire a farlo con facilità e l’idea di cimentarmi in un romanzo ha iniziato a fare capolino”.
Una storia minuta insomma perché, conclude Anna, “è nello spazio stretto e condiviso del paese e nelle comunità piccole che mi ritrovo e mi sento ispirata. Là dove le persone interagiscono e condividono davvero il brusco e l’amaro della vita. Storie famigliari, di paese e di paesaggi… lontane dal nostro presente ma che restano vive. Incise nella memoria. Un tempo perduto che fa comunque parte di noi e delle nostre radici”.
Anna ha dedicato Sono qui per le amarene alla memoria dell’amato zio poeta, Giuseppe Tonna: “è stato lui ad avvicinarmi alla lettura; quando avevo sette anni, in estate, mi leggeva brani tratti da romanzi, i classici per ragazzi di allora, e poi mi regalava quei libri che ho letto e riletto tante volte. Era un grecista – ricorda l’autrice – e dato che aveva collaborato alla sceneggiatura della famosa Odissea televisiva, quella con Irene Papas, mio nonno aveva comprato a rate un piccolo televisore per poter vedere le puntate insieme ad amici e parenti. Quando scorrevano i titoli di coda, e finalmente compariva il suo nome, il nonno stappava una bottiglia e faceva un brindisi mentre la nonna piangeva in silenzio”. Il motivo? Niente spoiler, lo leggerete nel romanzo.
Jessica Bianchi