A Mirandola alle medie Montanari attività (stra)ordinarie per star bene a scuola

Elena Roncadi e Marta Sirianni, referenti del progetto e mediatrici, hanno unito le loro competenze di pedagogista e assistente sociale per mettere in campo strumenti utili ai ragazzi per vivere le emozioni, riconoscerle e gestirle

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Invece di parlare dei ragazzi, Mirandola ha deciso di parlare ai ragazzi, in particolare a quelli di prima classe delle medie, nell’ambito del progetto Star bene a scuola, promosso dalla dirigente scolastica della scuola secondaria di primo grado Montanari Anna Oliva e sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola. Ad essere coinvolti dall’inizio dell’anno scolastico sono stati appunto i 250 studenti delle undici classi prime ai quali erano rivolti tre incontri di due ore. Non lezioni frontali, né quesiti nozionistici, non schede sulle emozioni ma Elena Roncadi e Marta Sirianni, referenti del progetto e mediatrici, hanno unito le loro competenze di pedagogista e assistente sociale per mettere in campo strumenti utili ai ragazzi per vivere le emozioni, riconoscerle e gestirle. È successo per esempio quando i ragazzi hanno apposto un cartellino in fronte con l’indicazione di un’azione che il compagno davanti a loro avrebbe dovuto mettere in pratica: hanno così compreso quali reazioni, emozioni, sofferenze possono derivarne a chi le subisce.

“Il progetto – raccontano Elena e Marta – è nato dall’esigenza di prevenire fenomeni di violenza, verbale e fisica, tra adolescenti e la nostra attenzione si è concentrata sulle emozioni perché i ragazzi fanno sempre più fatica a gestire la rabbia, un no, un rifiuto.  Vivendo sempre meno frequentemente queste situazioni nella struttura della famiglia, viene a mancare loro l’alfabetizzazione ai sentimenti, indispensabile fin dall’infanzia. Grazie al cooperative learning, lavorando anche in microgruppi, hanno potuto chiarire a loro stessi e agli altri cosa pensavano, cosa provavano e come lo vivevano. Episodi di violenza e di bullismo si verificheranno sempre più spesso se si ritrovano di fronte all’insuccesso e non hanno le armi per affrontarlo, se non sanno quali abilità mettere in campo, se non si sentono all’altezza, se non maturano buone capacità relazionali”. E qui entrano in gioco i genitori che si antepongono ai figli, papà e mamma ‘elicottero’ che adorano il figlio come ‘un piccolo Buddha’, onnipresenti e apprensivi, creano un mondo ovattato delegando aspetti educativi fondamentali alla scuola, all’allenatore o al catechista e se questi fanno rilevare criticità evitano di affrontarle sottraendosi al confronto perché incapaci di gestire la fragilità del figlio e la loro.

“Ci hanno colpito nel momento del confronto: se si danno ai ragazzi il tempo e lo spazio di guardarsi dentro e scegliere le parole giuste per raccontarsi aprono il loro mondo e tendono la mano per essere aiutati, sostenuti o contraddetti. Anche questo richiede allenamento, strumenti, interlocutori attenti e guide a volte silenziose ma presenti e interessate.

Le fragilità e le paure che ci hanno raccontato sono quelle di sempre: paura di non piacere, di dire cose sbagliate, di essere lasciati soli, di deludere le persone importanti, quelle di tutti i tempi, ma spesso , ci hanno raccontato, mancano le occasioni per dirsele, o “ non siamo attenti quando l’altro parla… siamo distratti oppure non sappiamo cosa fare”.

Questo progetto di accoglienza ha voluto stimolare interconnessioni e legami tra compagni di classe che si erano appena conosciuti creando un terreno comune di incontro, al di là della comunicazione verbale, fatto di ascolto e attenzione, senza pregiudizi ed etichette. Uno squilibrio emotivo a questa età può essere all’origine di manifestazioni psichiche importanti nel futuro per questo è fondamentale alfabetizzare, educare, alla parte più profonda di noi stessi, alle emozioni e ai conflitti, alle paure e ai bisogni, in una circolarità sistemica dove tutti diventano coproduttori di dialogo e ascolto.

Noi ci auguriamo – concludono Elena Roncadi e Marta Sirianni – che questo progetto biennale anche alla luce dei recenti episodi di cronaca, diventi una offerta formativa per studenti, genitori e insegnanti in più scuola possibili, perché la fatica di raccontare se stessi, di saper essere in ascolto empatico con l’altro, di gestire efficacemente i conflitti inevitabili non ha confini territoriali, è un bisogno urgente di ogni ragazzo e bambino e quindi dell’intera società. Ora si apre la fase di restituzione del progetto sulla base di ciò che è emerso dai ragazzi e saranno coinvolti prima i docenti, a cui sono dedicate due giornate, e poi i genitori con due percorsi laboratoriali esperienziali.

Sara Gelli

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