Le lettere dalla prigionia di Umberto Spizzichino donate alla Fondazione Fossoli

L’erede Gemma Moroni ha deciso, insieme ai figli, di donare alla Fondazione Fossoli il carteggio di Umberto Spizzichino, morto ad Auschwitz e transitato per il Campo di Fossoli, perché siano conservate e messe a disposizione degli studiosi.

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Marzia Luppi e Gemma Moroni

Umberto Spizzichino, nato a Roma il 25 maggio 1918 da Settimio Spizzichino ed Elena Bondì, fu arrestato dalle SS nel gennaio del 1944, a 25 anni, per poi essere deportato nel campo di sterminio di Auschwitz, dove sarà ‘marchiato’ con il numero 180110 e assassinato nello stesso anno. Dopo la detenzione in via Tasso e nel carcere di Regina Coeli, la prima tappa nel viaggio della deportazione fu il Campo di concentramento di Fossoli in cui furono raccolti, per poi essere inviati ai lager nazisti, molti degli ebrei catturati in Italia. Da qui, il giovane Umberto scrisse diverse lettere a parenti e amici per chiedere, con molta vergogna, denaro, vestiti e cibo; nelle missive il tentativo di rassicurare tutti sulla propria salute, concludendo sempre con un abbraccio al nipote Settimio, chiamato affettuosamente “il baroncino”. Le ultime sue notizie sono condensate in poche righe, scritte in fretta a matita, su un foglietto datato 5 aprile 1944: “Cara Gemma – la cognata, che non avendo origini ebraiche non rischia l’arresto – ti scrivo nell’ora della partenza, sperando che questa mia ti pervenga. Tanti baci a tutti voi e niente paura. Umberto”. Da allora si perdono le sue tracce. 

Alcuni documenti del carteggio di Umberto Spizzichino

Ora il carteggio è stato donato alla Fondazione Fossoli dall’erede, Gemma Moroni, moglie di Settimio, proprio il “baroncino” citato con tanto affetto nelle lettere, figlio di Leonardo, uno dei fratelli di Umberto. Insieme a lei, d’accordo nell’effettuare la donazione, i figli Silvia, Lorenzo, Daniele e Marta Spizzichino.

La decisione di Gemma Moroni, venuta da Roma a Carpi, presso la sede della Fondazione Fossoli, è dovuta al desiderio che questi documenti siano adeguatamente conservati e messi a disposizione degli studiosi di tutto il mondo.  Grande la soddisfazione della Fondazione che, in  concomitanza con i cantieri di riqualificazione e conservazione del Campo di Fossoli, ha lanciato la campagna internazionale Salva una storia, con lo scopo di raccogliere materiale documentale come lettere, diari, documenti e missive risalenti al periodo della Seconda guerra mondiale; una campagna che, a partire dalla donazione del carteggio di Bruno De Benedetti, altro internato al Campo, è proseguita con tanti contributi che hanno arricchito e accresciuto il patrimonio documentario e testimoniale del Centro studi e documentazione Primo Levi della Fondazione.  

“Sono felice – ha commentato Gemma Moroni – che finalmente queste lettere, per tanti anni nascoste in un cassetto, possano essere presto mostrate di nuovo a chiunque sia interessato, per ricordare le persone morte in questa maniera atroce, ed essere da monito perché ciò che è successo a Umberto, lo zio di mio marito, non si ripeta mai più. Era un ragazzo allegro, con grande fascino, che però rimase solo dopo che la famiglia fu costretta a dividersi per nascondersi e sfuggire alla persecuzione. Quello che credeva essere un amico lo tradì, e per tantissimi anni non si è mai saputo nulla di questa terribile storia, e da quando ne sono venuta a conoscenza mi sono sentita in dovere di trasmetterla. Tante di queste missive sono inviate ‘a Gemma’, mia suocera, che si chiama come me, e leggere ‘Cara Gemma’ mi ha fatto sentire, fortissima, l’esigenza di metterle a disposizione di tutti”.

“Ringraziamo profondamente Gemma Moroni – aggiunge la direttrice della Fondazione Fossoli, Marzia Luppi – che ha raccolto il nostro invito, che con la campagna Salva una storia intende gettare un salvagente perché tante memorie non si perdano nell’oblio. Quello di Umberto è un tassello prezioso, la testimonianza di un altro pezzo di storia, e della vita nel Campo di Fossoli. Siamo profondamente grati a tutti gli eredi che donano alla Fondazione i documenti, riconoscendone, oltre all’indubbio, enorme valore personale e famigliare, l’importanza civile. Le lettere, i diari, le fotografie, i disegni di chi ha attraversato l’inferno dei campi di concentramento possono essere poste al servizio della società, perché ciò che è stato non sia dimenticato”.

 

 

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