Virus Chikungunya, ‘da due mesi soffro di dolori articolari cronici’

Francesco si chiede anche “che cosa succederà quando le uova si schiuderanno in primavera?”. A chiarire tutti i dubbi è il prof. Federico Gobbi, direttore scientifico dell’ospedale di Negrar di Valpolicella IRCCS, Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico per le Malattie Infettive e tropicali

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“Sto ancora malissimo per il dolore alle articolazioni. Faccio fatica anche ad allacciarmi le scarpe” racconta Francesco, 51 anni, di Carpi, “senza malattie pregresse, ero un soggetto sano” aggiunge. Le temperature si sono abbassate, con il freddo le zanzare sono diventate inattive e non ci sono nuovi contagi ma c’è chi, sul finire dell’estate, ha contratto la Chikungunya ed è ancora alle prese con le conseguenze del virus. Francesco si chiede, “che cosa succederà quando le uova si schiuderanno in primavera?”.

Mi è cambiata la vita da quel 23 settembre quando mi fu diagnosticata la malattia. Dopo la febbre a quaranta per giorni, decisi di sottopormi all’esame del sangue che rivelò la presenza del virus Chikungunya. Sono rimasto in casa per dieci giorni al termine dei quali la febbre è passata ma non i problemi articolari. A distanza di due mesi ancora sento un dolore fortissimo a mani, piedi, ginocchia, spalle e faccio fatica a stare in piedi. Ho ripreso il lavoro ma solo grazie alla comprensione e disponibilità dei colleghi che mi stanno aiutando, la mia vita sociale è rovinata. La sanità carpigiana, pur così tempestiva nella diagnosi, non ha saputo darmi risposte rispetto ai tempi di guarigione e alle terapie. Mi sono sentito abbandonato a me stesso, allora ho preso l’iniziativa e mi sono rivolto all’Ospedale di Negrar di Valpolicella IRCCS, Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico per le Malattie Infettive e tropicali”.  Come a Carpi, anche a Negrar sono stati identificati casi autoctoni del virus della Chikungunya a partire dall’agosto 2025 con un focolaio che si è poi esteso ad altre zone della provincia di Verona.

“Il termine Chikungunya – chiarisce il prof. Federico Gobbi, direttore scientifico dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali, professore associato all’Università di Brescia – deriva dalla lingua africana makonde parlata tra Mozambico e Tanzania, e significa colui che cammina storto. Ci indica il principale sintomo di questa patologia di natura virale, il dolore alle articolazioni, ma a caratterizzarla possono essere anche la febbre alta e l’eritema cutaneo. Nella maggior parte dei casi è benigna, nel 60% dei casi i sintomi si risolvono entro un mese, ma per il 40% di coloro che contraggono il virus i sintomi possono persistere più a lungo anche per due o tre mesi. In una minima percentuale persistono per più tempo, anche per anni. In questi casi, occorre consultare un reumatologo per una cura a base di antinfiammatori e, se non fossero sufficienti, bisogna passare a una terapia con i corticosteroidi”.

Occorre che la popolazione sia adeguatamente informata per “imparare a convivere con le arbovirosi, i virus trasmessi da artropodi, cioè dagli insetti. Possono essere zanzare, come le culex che trasmettono la West Nile o come le aedes (zanzara tigre) che trasmettono Chikungunya e Dengue, o i pappataci che possono trasmettere il Toscana virus, possono essere infine le zecche che trasmettono il virus dell’encefalite da zecche. Ci troviamo di fronte a vettori che possono trasmettere malattie soprattutto nella stagione tardo primaverile, estiva e autunnale. Alcune patologie come Toscana virus, West Nile e encefalite da zecche che sono endemiche in Italia, cioè sono presenti anno dopo anno in determinate zone del nostro territorio. E poi ci sono patologie di importazione come Chikungunya, Dengue o Zika che normalmente non sono presenti in Italia ma attraverso il vettore della zanzara tigre possono essere trasmesse. E’ sufficiente che una persona con la Dengue o la Chikungunya ritorni da un Paese del sud del mondo: una volta in Italia se una zanzara tigre lo punge si infetta e trasmette a sua volta la patologia ad altre persone. E’ quello che è successo qui in Valpolicella e anche a Carpi”.

Che tipo di azioni si possono mettere in campo per tenere sotto controllo le arbovirosi?

“Quest’anno verrà rinnovato il Piano di Sorveglianza e Risposta Arbovirosi 2025-2030 perché è fondamentale la tempestività: prima avviene la diagnosi dei casi di epidemia autoctona, meno l’epidemia di espande. Il problema è che, non essendoci sintomi specifici, l’intera classe medica è chiamata a testare per arbovirosi tutte le persone che hanno la febbre durante l’estate. Ovviamente il costo è elevato ma prima si riesce a intervenire con le disinfestazioni nel raggio di 200 metri più efficacemente si impedisce all’epidemia di espandersi. E’ un lavoro di equipe che prevede non solo l’interessamento dei clinici ma anche dei microbiologi, della salute pubblica, dei veterinari e che presuppone il supporto della popolazione”.

Lo scenario che si è profilato lo scorso anno nei nostri territori potrebbe ripresentarsi l’anno prossimo?

“Dalla lettura della review pubblicata su Lancet Regional Health Europe si possono avere chiare indicazioni. Lo studio, coordinato dal nostro Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar, fa il punto sulle epidemie autoctone di Dengue, Zika e Chikungunya sviluppate in Europa negli ultimi 15 anni (2007-2023): nessun allarme ma il trend di crescita richiede di sviluppare nuove politiche sanitarie per la rilevazione precoce dei focolai, in particolare in Italia. Non bisogna allarmare la popolazione perché per la maggior parte dei casi si tratta di patologie benigne ma bisogna essere pronti e iniziare a investire nel testare il maggior numero di pazienti e intervenire precocemente perché ci sono sia problemi di salute dei pazienti ma anche problemi logistici se pensiamo a un’epidemia di Chikungunya o Dengue in una zona turistica d’estate”.

Infine, il professor Federico Gobbi rassicura sul fatto che “non c’è trasmissione del virus Chikungunya a livello delle uova: la malattia deve essere reintrodotta nel territorio da una persona che l’abbia contratta durante un soggiorno in Sudamerica, Africa e Sud Est e, al rientro in Italia, venga punta da una zanzara tigre”.

Sara Gelli

 

 

 

 

 

 

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