Nuovo ospedale di Carpi, l’obiettivo è terminare i lavori nel 2033

Parola d’ordine complementarietà: il Santa Maria Bianca di Mirandola e il nuovo Ramazzini costituiranno il cuore integrato di un sistema nord provinciale. Non due poli divisi ma complementari. “Non possiamo continuare ad avere sovrapposizioni e inefficienze, servono strutture a forte innovazione clinica, tecnologica e organizzativa che si integrino in maniera dinamica tra loro e col territorio. A guidarci sono i bisogni dei nostri cittadini ma anche gli stessi professionisti che già dialogano tra loro in maniera multidisciplinare, si spostano, interagiscono sui pazienti per offrire alti standard di cura. Dobbiamo essere bravi a disegnare i modelli del futuro, realizzando un ospedale modulare e flessibile, sostenibile, con spazi ottimizzati, digitale e tecnologico, interconnesso e smart. Un luogo in cui sia centrale il percorso-paziente”, ha spiegato il direttore generale dell’Ausl, Mattia Altini.

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2033. E’ questa la deadline – auspicata – della fine lavori del nuovo ospedale di Carpi che sorgerà nell’area compresa tra la tangenziale Losi e il prolungamento di via dell’industria e tra via Guastalla e Quattro Pilastri. “Oggi, mercoledì 5 novembre, – ha spiegato il sindaco di Carpi Riccardo Righi – è una giornata importante. Dopo oltre 15 anni di dibattito relativo alla necessità di costruire un nuovo ospedale nella nostra città sono stati fatti passi enormi. E’ stato siglato l’accordo operativo tra Comune e Ausl di Modena che sancisce i tempi e i modi per la realizzazione della nuova struttura ospedaliera. Unitamente a ciò la prossima settimana verrà pubblicato l’avviso pubblico per individuare il soggetto privato che si occuperà della progettazione, della realizzazione e della futura gestione del nuovo Ospedale. Obiettivi a cui siamo arrivati guardando oltre i confini dei singoli comuni ma lavorando insieme. I due distretti di Carpi e Mirandola hanno unito le forze per disegnare una sanità che guardi al futuro. L’obiettivo cardine è uno: garantire a tutti il diritto alla cura”.

Parallelamente al percorso sul nuovo ospedale di Carpi, sarà infatti avviata una procedura di gara per affidare la progettazione e l’esecuzione di una serie di lavori (dalla sismica all’anti incendio) sull’Ospedale di Mirandola, come ha sottolineato la sindaca Letizia Budri: “sia chiaro, il Santa Maria Bianca resterà un presidio di salute strategico e irrinunciabile e, insieme a quello di Carpi, diventerà un punto di riferimento a servizio di un bacino di utenza di circa 190mila abitanti. Questo è un buon punto di partenza: ora servono investimenti e scelte coerenti, affinché la collaborazione avviata si traduca in risultati concreti e in una sanità pubblica davvero più vicina ai cittadini”.

Parola d’ordine complementarietà, come ha più volte ribadito anche il sindaco di Modena nonché presidente della Conferenza Territoriale Socio Sanitaria Massimo Mezzetti: “il Santa Maria e il nuovo Ramazzini costituiranno insieme il cuore integrato di un sistema nord provinciale. Non due poli divisi ma complementari. Vogliamo una sanità forte, moderna e capace di rispondere a una società che muta rapidamente. Per farlo occorre garantire qualità assistenziale e prossimità evitando ogni tipo di duplicazione”.

La definizione di dettaglio delle funzioni da attribuire ai due ospedali, coinvolgendo tutti gli attori (professionisti, sindacati, associazioni di volontariato), sarà affidata a una Commissione interdistrettuale,  su proposta dei sindaci Righi e Budri, in qualità di presidenti delle commissioni sanitarie dei rispettivi distretti, e del presidente dell’Unione Comuni Modenesi Area Nord, il primo cittadino di Finale Emilia Claudio Poletti: “se vogliamo rafforzare la sanità del nostro territorio – ha commentato quest’ultimo – non possiamo far altro che lasciarci guidare da una parola chiave, ovvero l’integrazione dei due presidi ospedalieri”.

Si inaugura così il ribattezzato “Metodo Modena – ha aggiunto il direttore generale dell’Ausl, Mattia Altini – un modo di lavorare che pone al centro la trasparenza, la collaborazione con le comunità professionali, i cittadini e le amministrazioni. Le aree provinciali, nord, centro e sud, sono di fatto l’evoluzione dell’organizzazione distrettuale dell’Azienda: non possiamo continuare ad avere sovrapposizioni e inefficienze, servono strutture a forte innovazione clinica, tecnologica e organizzativa che si integrino in maniera dinamica tra loro e col territorio. A guidarci sono i bisogni dei nostri cittadini – e non solo quelli di oggi ma anche quelli del futuro perchè il nuovo ospedale avrà mediamente una vita di 50, 60 anni – ma anche gli stessi professionisti che già dialogano tra loro in maniera multidisciplinare, si spostano, interagiscono sui pazienti per offrire alti standard di cura. Dobbiamo essere bravi a disegnare i modelli del futuro, realizzando un ospedale modulare e flessibile, sostenibile, con spazi ottimizzati, digitale e tecnologico, interconnesso e smart. Un luogo in cui sia centrale il percorso-paziente”. Ad Altini anche il compito di dettare il cronoprogramma: “entro luglio 2026 vorremmo individuare il soggetto privato e procedere con la gara di affidamento, avere il progetto esecutivo nel 2028, iniziare i lavori nel 2029 e chiuderli nel 2033”.

Gli ospedali di prossimità sono “fondamentali – prosegue Alitni – perchè rispondono a una quantità di bisogni ricorrenti. Il nostro lavoro oggi è quello di integrare due ospedali, uno nuovo di cui parte l’iter e uno già esistente: due poli che devono essere pensati insieme in modo che siano l’uno il supporto dell’altro per arrivare poi a mettere alcune cose in uno solo dei due. Non credo che fare una trentina di km per determinate funzioni rappresenti un problema. La gran parte delle risposte sarà vicina, quindi non sono in discussione la medicina o la chirurgia ma il tipo di chirurgia sì”.

La sfida è dunque quella di evitare “i costi della duplicazione e della competizione”. In soldoni, conclude il Dg, “gli attriti o i campanilismi non aiutano. Occorre collocare ogni funzione nel posto giusto. Per le prestazioni di routine i cittadini potranno contare su un presidio di prossimità, mentre per le specialistiche si sposteranno all’interno della rete provinciale”.

D’altronde, gli fa eco l’assessore regionale alle Politiche per la salute, Massimo Fabi, “non possiamo più permetterci i costi legati alle sovrapposizioni di funzioni. Una rete integrata e una programmazione concertata  garantiscono la sostenibilità dell’intero sistema”.

Una collaborazione, quella tra i due distretti di Carpi e Mirandola, che il presidente della Regione Emilia-Romagna, Michele de Pascale, ha definito “un modello che fa da apripista e va replicato anche in altri territori. È importante che i territori si uniscano e lavorino insieme per garantire una sempre migliore qualità dei percorsi di cura e assistenza. I due poli ospedalieri di Carpi e Mirandola funzioneranno come un unico presidio. Noi difendiamo gli ospedali di prossimità di medie dimensioni ma è impensabile che lì si possano trovare tutte le risposte ai propri bisogni. Affermare il contrario significherebbe mentire. E noi non siamo dei truffatori. Serve partire da un’analisi dei bisogni e poi garantire la massima efficienza: il professionista giusto, nel luogo giusto. A fronte di sistema sanitario sottofinanziato l’unico modo per restare in piedi è potenziando l’integrazione delle strutture. Un territorio si specializza in un ambito e il limitrofo in un altro, senza sovrapposizioni. Perseguire tale obiettivo è, lo ribadisco, l’unico modo per stare in piedi e poter giocare in attacco anziché mettersi unicamente a difesa del proprio fortino”.

Sta ora per aprirsi una fase molto delicata, quella degli espropri, materia assai spinosa, anche in considerazione dei precedenti cittadini (vedi alla voce Parco della Cappuccina e via dell’Agricoltura): “l’obiettivo – ha dichiarato il sindaco Righi – è quello di acquisire le aree entro 30 mesi a partire da gennaio di quest’anno, possibilmente prima. I costi degli espropri verranno ripartiti tra azienda Usl e Comune e saranno riparametrati sui valori già individuati per la realizzazione della bretella. La cifra che dovrà versare il Comune oscilla tra i 4 ai 5 milioni di euro comprensivi sia dell’acquisizione delle aree di propria pertinenza che dell’esecuzione delle infrastrutture a servizio dell’ospedale il resto sarà invece in carico all’azienda”.

Alla nota dolente degli espropri si aggiunge poi un altro importante interrogativo: ci sarà un partner privato disposto ad accettare la sfida? Una formula, quella del partenariato pubblico privato, che apre infatti alcune incognite: il quadro economico inizialmente previsto del nuovo ospedale prevedeva 126 milioni di euro di investimenti, di cui 57 da fondi statali e regionali (ad oggi unica cifra certa) e 69 milioni da fondi del privato ma probabilmente tale quota è destinata a crescere. L’operatore economico individuato rientrerà del proprio contributo attraverso un canone di concessione (di quanti anni non è ancora dato sapere) oltre ai ricavi che otterrà dalla gestione di una serie di attività accessorie all’ospedale, come le manutenzioni, la locazione di spazi di servizio come bar o negozi di supporto alla struttura. Ci sarà qualcuno che si accollerà il rischio?

Jessica Bianchi

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