Scuole dell’infanzia e integrazione, per l’assessore Albarani ‘l’accoglienza avviene in ogni scuola’

Alle questioni poste nell’articolo pubblicato su Tempo “Classi ghetto nella scuola dell’infanzia: cosa è stato fatto a Carpi per evitarle?” risponde l’assessore all’Istruzione Giuliano Albarani.

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Alle questioni poste nell’articolo pubblicato su Tempo “Classi ghetto nella scuola dell’infanzia: cosa è stato fatto a Carpi per evitarle?” risponde l’assessore all’Istruzione del Comune di Carpi Giuliano Albarani. A Carpi ci sono sedici scuole d’infanzia, di cui sei comunali e dieci statali in cui la percentuale dei bambini con cittadinanza non italiana è in media del 30% (era il 23% nel 2014). Le scuole statali si fanno carico dell’accoglienza in misura quasi tripla rispetto alle comunali: nelle prime i bambini stranieri sono il 39,5%, nelle comunali il 15,2%. Sono tre le scuole d’infanzia statali in cui i bambini stranieri superano nettamente il numero di bambini italiani.

Le scuole statali si fanno carico dell’accoglienza degli stranieri in misura quasi tripla rispetto alle comunali. Sta bene così o si sta pensando di mettere mano alla situazione?

L’accoglienza di ogni tipo di diversità avviene ogni giorno in ogni scuola d’infanzia. I bambini di origine straniera – molti dei quali hanno la cittadinanza italiana e parlano correttamente l’italiano, questo non bisogna dimenticarlo – sono presenti in tutte le scuole. In alcune scuole, anche scuole comunali, non solo statali, sono maggiormente presenti poiché abitano vicini, e le famiglie, anche semplicemente per limiti di mobilità, non accettano posti in scuole più distanti, a differenza di altre famiglie che riescono e sono disponibili anche a spostarsi per raggiungere la scuola prescelta.

Il dato significativo, per me, viene a monte, e ci dice che nel tempo l’Amministrazione ha governato bene la situazione della Scuola dell’Infanzia a Carpi: dieci anni fa c’erano 1.895 bambini da 3 a 6 anni frequentanti, suddivisi tra 26 sezioni comunali, 31 sezioni statali e 22 private paritarie; oggi 1.638 bambini frequentanti, in 26 sezioni comunali, 31 sezioni statali e 21 paritarie.

Con oltre 200 bambini in meno, e quindi un calo del 15% dell’utenza, non è stata chiusa alcuna scuola, non sono state perse sezioni pubbliche (né relativo organico di insegnanti) e si sono di molto migliorate le medie di alunni per sezione, da 24 a 21, aumentando di conseguenza le condizioni oggettive per una proposta educativa di qualità, capace di rispondere anche ai bisogni di bambine e bambini con estrazione linguistica differente.

Aggiungo una considerazione: alla luce della natalità delle famiglie autoctone – bassa, come nel resto d’Italia e della maggioranza dei paesi OCSE – solo l’arrivo e l’insediamento, negli ultimi anni, di famiglie straniere, spesso poi approdate alla cittadinanza e progressivamente italofone, ha arginato il rischio di chiusure di plessi e sezioni.

Quali criteri vengono applicati se tra scuole comunali e statali si evidenziano queste differenze?

I criteri di accesso ai servizi sono gli stessi per scuole comunali e statali (come sono identiche rette e tariffe), le domande vengono raccolte dall’Ufficio scuola, che gestisce le graduatorie, i punteggi, le assegnazioni e i trasferimenti. Il Centro Unico di iscrizione alle scuole dell’infanzia, che gestisce le domande sia per le comunali sia per le statali, non può forzare le libere scelte delle famiglie, può invece operare sull’offerta del servizio per corrispondere al meglio alle dinamiche della domanda. Posto che nel comune di Carpi il 100% dei richiedenti e il 98% dei residenti in età 3-6 anni frequenta la scuola dell’infanzia, a fronte del citato calo demografico si è recentemente sperimentata, nelle scuole di infanzia comunali più richieste dalle famiglie, l’accoglienza di bambini più piccoli in vere e proprie sezioni di nido aggregate. Questo ha consentito di non avere un eccesso di offerta, con il rischio di dover chiudere intere scuole d’infanzia, a partire dalle statali, e di riconvertire parte delle comunali a favore di bambini in età da nido, aumentando così i posti disponibili per i più piccoli e incrementando il tasso di frequenza ai servizi 0-3 anni (a Carpi già oltre la soglia “europea” del 47%), nonché il correlato tasso di risposta (a Carpi oggi superiore al 90%).

Prevale l’esigenza di individuare criteri oggettivi a cui affidarsi per stabilire punteggi di una graduatoria che sia inattaccabile oppure c’è margine per lavorare su un diverso approccio nell’assegnazione dei punteggi?

Servono criteri trasparenti e definiti, come per accedere ad altri servizi pubblici. Ogni situazione familiare, indipendentemente dalla provenienza, ha caratteristiche peculiari che vanno considerate e, per quanto possibile, incrociate con l’offerta di servizi di un territorio. Non è possibile personalizzare il trattamento delle domande, sarebbe grave e illegittimo, la personalizzazione può avvenire, e avviene, in ambito educativo nella quotidianità, ma non nelle modalità di accesso.

Nella fase della composizione delle sezioni finora si è privilegiato il diritto del singolo piuttosto che l’equilibrio della sezione. Si possono ribaltare le priorità per garantire l’equilibrio in tutte le sezioni?

Il nostro welfare, quello educativo ma non solo, è giuridicamente e culturalmente incardinato sulle persone e sulle famiglie, e sulle loro libertà di scelta, e io dico che è un bene. Introdurre parametri, per così dire, “collettivisti”, dando priorità alle esigenze dell’insieme, che è una entità astratta e opinabile, rispetto alle situazioni, ai bisogni e alle scelte dei singoli, che sono invece molto concreti, produrrebbe fattispecie di illegittimità senza aggredire realmente i problemi, determinando anche, magari all’insegna della buona fede, prassi discriminatorie. La valutazione e l’intervento sulle diversità e le difficoltà, a partire da quelle linguistiche, devono avvenire, e si realizzano già oggi, nel concreto della programmazione e della vita educativa: le sezioni sono riferimenti che, nella quotidianità, possono essere gestite con grande flessibilità organizzativa da parte delle insegnanti, che hanno la facoltà di aggregare i bambini in base a spazi, interessi, esperienze, senza applicare rigidi criteri di suddivisione dei gruppi.  Per questo si parla sempre più di “sistema” all’interno di una scuola e si va verso scuole organizzate in sezioni miste e aperte, proprio per rispondere in maniera sempre più mirata e puntuale ai bisogni e alle competenze dei bambini. L’equilibrio efficace è quello “sul campo”, con un’azione di coordinamento pedagogico e non con criteri a priori.

Nella graduatoria che regola l’accesso alle scuole d’infanzia, le famiglie italiane ottengono un punteggio più alto rispetto alle famiglie straniere in cui la madre spesso non lavora e così scelgono le scuole comunali concentrandosi in quelle. Si può modificare questo criterio attribuendogli minor importanza?

Premessa essenziale: nella realtà di oggi la suddivisione tra famiglie italiane e famiglie straniere risulta sempre più sfumata nei contorni. I cambiamenti nelle diverse forme familiari sono all’ordine del giorno e ogni famiglia ha un’organizzazione interna, una eventuale rete di supporto e compie scelte lavorative molto diverse e variegate. E’ vero che le madri straniere talvolta non lavorano, e per questa condizione vengono attribuiti 8 punti, contro i 25 delle madri lavoratrici, ma è anche vero che il più delle volte i nonni sono all’estero, e, in questo caso, per intenderci, vengono attribuiti 5 punti per ciascun nonno non presente. Inoltre, le famiglie straniere spesso hanno più figli, così ottengono punteggi complessivamente equivalenti a quelle italiane.

Una delle differenze significative tra scuole comunali e statali è in realtà il contratto di lavoro (più ampio di 9 ore a settimana per le insegnanti comunali, che hanno quindi maggiori possibilità di fare compresenze), ma esistono molte sperimentazioni di estensione dell’offerta, supporto reciproco e integrato nel sistema 3-6 anni pubblico. E soprattutto ci sono scelte dell’Amministrazione, come quelle che citavo in precedenza, che ha sempre puntato e punterà a preservare le scuole di infanzia statali e ad ampliare, in modo complementare, l’offerta comunale per i bambini più piccoli.

Come è possibile che una famiglia si ritrovi un figlio iscritto in una scuola e l’altro in un’altra, come se il criterio dei fratelli non avesse alcuna importanza?

Può succedere se i figli non hanno la stessa età e vengono iscritti in anni scolastici diversi, con graduatorie diverse. E’ comunque già previsto ed assegnato un punteggio specifico premiante al bambino che ha un fratello nella stessa scuola. Succede inoltre anche che a volte siano le famiglie stesse a richiedere trasferimenti o cambiamenti legati ad esigenze interne che l’ente non è tenuto ad indagare o approfondire.

Si può considerare una priorità l’equilibrio tra maschi e femmine?

Un eventuale equilibrio numerico in base al genere rischia di compromettere altri equilibri, forse più delicati e sensibili. Ogni gruppo si crea ed esprime in base a dinamiche che si stabiliscono e definiscono tra i membri, nell’ambito di un contesto che si organizza in termini di tempi, spazi, materiali e proposte partendo dall’osservazione e dall’analisi delle caratteristiche e dei bisogni di chi lo compone. Sotto questo profilo dobbiamo ammettere che i bambini hanno sempre più fantasia, adattabilità, creatività e capacità di quanto pensano gli adulti, me compreso.

Si può valutare il grado di integrazione e alfabetizzazione considerando che ci sono famiglie straniere in cui tutti i componenti parlano benissimo la lingua italiana?

E’ proprio a partire da questo che diventa difficile suddividere o creare criteri e priorità, distinguendo “autoctoni” e “stranieri”. Il fatto che una famiglia sia di origini straniere non significa che non conosca la lingua italiana, forse l’automatismo poteva valere negli anni Novanta o nei primi anni Duemila, non oggi. Ci sono contesti familiari dove i bambini crescono in una dimensione di bilinguismo, e il bilinguismo è un fenomeno che apre la mente e supporta intelligenze molto importanti e preziose – lo peroriamo quotidianamente, a tutti i livelli, lungo l’asse italiano-inglese – anche in termini di presente e futuro apprendimento. Proprio per valorizzare questa formazione pluri-linguistica dei bambini e dei ragazzi, d’altra parte, sosteniamo da anni, a livello di Terre d’Argine, progetti ambiziosi, validati e supervisionati da esperti universitari, come il progetto “L’AltRoparlante”.

Si può valutare il grado di integrazione delle famiglie straniere con cittadinanza italiana che non insegnano la lingua italiana ai loro bambini, per cui nell’elenco figurano italiani che a livello linguistico e culturale ancora italiani non sono? 

Non parlerei di “non insegnamento”, quasi fosse un’azione volontaria e deliberata di genitori che boicottano la formazione linguistica in italiano dei figli, quanto di problemi di integrazione degli adulti in un contesto e in un territorio. Il tema è, per così dire, ben attenzionato: le nostre scuole sono luoghi aperti alla partecipazione delle famiglie, hanno possibilità e pratiche progettuali molto ampie rispetto al coinvolgimento delle famiglie e sono un veicolo prezioso di relazioni, scambi e incontri, tanto che da un certo punto di vista la crescita linguistica dei bambini a scuola è un viatico anche per l’inclusione linguistica e sociale degli adulti.

Si può comporre la sezione tenendo conto di quanti bambini provengono dall’asilo nido in cui sono stati abituati a una routine scolastica?

Non lo si può determinare a priori poiché le famiglie hanno il diritto di scegliere tra diverse scuole presenti sul territorio e in alcuni casi ci sono nidi attigui a scuole d’infanzia, anche statali, per cui le famiglie le scelgono in prima battuta anche grazie ai percorsi di continuità nido-infanzia che si progettano e realizzano. Nel caso delle scuole d’infanzia comunali, si strutturano modalità di ambientamento diversificate a seconda che i bambini abbiano frequentato oppure no il nido d’infanzia.

Considerando l’apporto che deriva dalla presenza di insegnanti di sostegno e Pea, si può evitare di concentrarli in determinate scuole?

Le famiglie con bambini con disabilità hanno punteggi dedicati ovviamente molto elevati, a causa appunto della situazione che si trovano a gestire. Non sono quindi “concentrati” in alcune scuole, ma si cerca di dare risposta, ancora una volta senza imposizioni o decisioni fatte a tavolino dalle istituzioni, a quanto chiesto dalle famiglie, organizzandosi anche internamente in ogni scuola in maniera specifica e mirata, per rispondere in maniera sempre più adeguata ai bisogni di questi bambini e delle loro famiglie. Sempre più frequentemente accade che i bambini intraprendano percorsi e vengano certificati durante gli anni di frequenza alla scuola d’infanzia, pertanto si tratta di situazioni non prevedibili in ingresso, ma che si possono gestire soltanto in un secondo tempo e momento, grazie alla preziosa presenza di personale aggiuntivo a supporto delle sezioni.

Si può costituire una commissione per la composizione delle sezioni estesa ai Comprensivi e ai loro dirigenti?

Possibile, purché in base a criteri oggettivi e trasparenti, non a valutazioni, anche istituzionali, impositive e non sostenibili di fronte all’utenza. Di fatto la commissione esiste: con i dirigenti scolastici ci troviamo almeno una volta al mese e molto più frequentemente nel periodo delle iscrizioni, proprio per governare congiuntamente e in modo organico e ordinato i flussi di domanda e offerta dei vari servizi territoriali. E tutte le scelte fatte in questi anni sono state sempre condivise, ed in molti casi proposte e veicolate dagli stessi dirigenti scolastici statali.

Uno degli obiettivi che vorremmo raggiungere in questa legislatura, per il quale stiamo sollecitando la Regione, consiste nella sperimentazione e attivazione dei “Poli d’infanzia”, una struttura che unisce nidi (0-3 anni) e scuole dell’infanzia (3-6 anni) in un unico luogo o in edifici vicini, creando un continuum educativo. E questo intento è indicato nel “Patto per la scuola dell’Unione Terre d’Argine”, recentemente approvato in Consiglio delle Terre d’Argine, quando si parla di “sperimentare e attivare formalmente sul territorio dell’Unione Terre d’Argine i “Poli di infanzia” come strutture/laboratori di sviluppo ed innovazione dell’intero sistema territoriale. Sempre tenendo conto, per avere uno scenario completo, che c’è un’altra fondamentale componente del sistema 3-6 anni integrato, quella privata paritaria, che la nostra Amministrazione sostiene in modo molto importante per raggiungere gli obiettivi di cui ho parlato, grazie alla “Convenzione tra Unione Terre d’Argine e scuole di infanzia private paritarie”, recentemente approvata, anch’essa, in Consiglio di Terre d’Argine, che prevede tra l’altro sostegno economico alle sezioni, supporto alle famiglie, copertura dei costi per l’inclusione delle bambine e dei bambini con disabilità, uscite didattiche gratuite e progetti educativi e formativi condivisi.

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