In Italia, quasi il 40% della popolazione ha più di 55 anni. Un dato che racconta più di numeri: racconta una sfida sociale. In particolare, le persone con disabilità intellettiva che entrano nella terza età vivono una realtà complessa, fatta di fragilità fisica, rischi cognitivi e isolamento. Eppure, esiste uno strumento semplice, accessibile e potente per migliorare la loro qualità di vita: l’attività fisica adattata. Purtroppo, la realtà è spesso diversa. Studi recenti mostrano che quasi il 90% degli anziani con disabilità non pratica alcuna attività fisica significativa. E quando le opportunità ci sono, si limitano spesso a contesti sanitari, che dimenticano la dimensione sociale e comunitaria del movimento. Questo silenzio e questa inerzia hanno un costo: peggioramento della salute, isolamento, maggiori ricoveri e un futuro di solitudine per chi è già fragile. Ed è qui che emerge un bisogno fondamentale: spazi e programmi dedicati, sicuri e stimolanti, dove il movimento non sia solo esercizio fisico, ma occasione di socializzazione, di autonomia, di dignità. Un bisogno che va oltre la cura, oltre la terapia: un bisogno di vita. Proprio per rispondere a questa esigenza nasce il progetto Longevità Attiva della Residenza Stella.
Qui, da anni, l’attività fisica cognitiva relazionale viene integrata nella vita quotidiana delle persone: ginnastica dolce, percorsi ludico-motori, laboratori di movimento adattato, uscite, sempre accompagnati da operatori sociali. Ma non si tratta solo di esercizio fisico: ogni attività è un’occasione di incontro, un momento di relazione, un modo per sentirsi parte di una comunità. I risultati sono concreti: migliore tono muscolare, riduzione delle cadute, maggiore partecipazione alle attività comuni, calo dell’isolamento e depressione e, forse più importante, una percezione rinnovata di dignità e benessere. Perché muoversi anche cognitivamente significa vivere e farlo insieme significa vivere meglio. Ma il progetto di Residenza Stella da solo non può bastare. Chi guida i territori oggi, chi tace di fronte alla mancanza di strutture innovative, chi non rinnova il welfare, è responsabile del futuro che consegna alla comunità.
Ogni anziano isolato, ogni persona con disabilità lasciata senza opportunità, sono il segno di un fallimento collettivo.
Non bisogna aspettare di entrare in percorsi sanitari ma vivere in percorsi di longevità attiva.
Serve innovazione sociale: centri di attività fisica adattata, operatori formati, finanziamenti strutturali per progetti di “invecchiamento attivo” replicabili sul territorio.
Serve un welfare che integri sanitario, sociale e comunitario, per trasformare l’attività fisica e cognitiva in diritto, inclusione e qualità della vita.
Non possiamo permetterci il silenzio. Ogni passo, ogni movimento, ogni progetto realizzato oggi, è un investimento sul futuro della società e sulla dignità delle persone più fragili.
SCAI ha aperto strade concrete verso questo cambiamento, percorrendole insieme alle famiglie, con grandi risultati ottenuti senza un soldo pubblico, grazie all’auto-finanziamento dei servizi.
Questo percorso virtuoso dovrebbe essere un esempio per l’intero territorio: dimostra che innovazione sociale, inclusione e benessere non sono utopia, ma realtà possibile quando si mettono al centro le persone.
























