“Mi ha usato per lasciare il Pakistan, venire qui, sistemarsi e rifarsi una vita. E’ evidente che i suoi sentimenti nei miei confronti non erano sinceri, se mi avesse amato non mi avrebbe fatto sprofondare in questo incubo”. A parlare è M.R., 39enne di origini pachistane e cittadino italiano dal 2013, l’anno in cui si è anche sposato: “ci siamo conosciuti in Pakistan, lei, di qualche anno più giovane di me, viveva in un altro villaggio rispetto a quello dei miei parenti e, dal momento, che vigono regole molto rigide per quanto riguarda le frequentazioni amorose, abbiamo deciso di sposarci. Ho fatto i salti mortali per portarla a Carpi, dove vivo da quando non ero che un bambino e dove ho acquistato una casa, ma tra le difficoltà burocratiche prima e la pandemia poi, il ricongiungimento è avvenuto soltanto nel 2023”.
In occasione del suo ultimo viaggio in Pakistan così come nei mesi prima della partenza di lei, prosegue, “avevo notato dei cambiamenti. La sentivo lontana. Diversa. E una volta arrivata qui mi ha fatto capire chiaramente che avrebbe voluto rifarsi una vita. All’inizio non capivo perché mi stuzzicasse sempre, cercando di provocarmi e di indurmi a fare qualcosa di inappropriato poi tutto è diventato chiaro. Sfinito dal suo atteggiamento le ho detto di darci un taglio. Di smetterla. Ed è stato allora che io e i miei genitori abbiamo ricevuto delle minacce di morte da parte sua e dei suoi fratelli dal Pakistan. Minacce che ovviamente non ho preso alla leggera e che ho denunciato alla Polizia di Stato”.
Dopo circa un mese dal suo arrivo, prosegue, “ho ricevuto una telefonata. Uno sconosciuto mi voleva incontrare per chiarire la situazione con mia moglie minacciando che la faccenda non sarebbe finita lì se non mi fossi presentato. Naturalmente non solo andato e anche di questa telefonata ho messo al corrente la Polizia, integrando la mia precedente denuncia”.
Il giorno successivo la donna, approfittando dell’assenza del marito, recatosi al lavoro, “ha chiamato le Forze dell’Ordine. Sul posto si sono presentati Vigili del Fuoco e Carabinieri. Ai militari ha detto, grazie alla mediazione di un interprete dal momento che lei parlava solo urdu e qualche parola di inglese, di essere stata segregata in casa, nonostante tutte le porte fossero aperte dall’interno e lei possedesse un mazzo di chiavi, e di essere vittima di violenza domestica. Portata in Pronto Soccorso è stata visitata ma non sono stati riscontrati segni di violenza e pertanto non è scattato il Codice rosso. Quando mi hanno contattato i Carabinieri io mi sono rivolto a un avvocato per chiedere la separazione, non potevo accettare di essere calunniato a quel modo”.
A quel punto la donna è stata presa in carico “dai Servizi Sociali che, a loro volta, l’hanno affidata a un centro antiviolenza il quale l’ha indirizzata circa i passi da compiere e per me è iniziato un incubo. Sono stato denunciato per maltrattamenti e schiavitù, peraltro tre giorni prima che le decadesse il visto e ben due mesi dopo che era uscita di casa, riuscendo così a ottenere il permesso di soggiorno poiché vittima da violenza (ndr – si tratta di un permesso speciale che consente alle persone straniere vittime di violenza domestica di rimanere nel nostro paese in modo regolare, anche se non soddisfano i requisiti per un normale permesso di soggiorno. E’ quando prende l’articolo 18-bis del Testo Unico sull’Immigrazione)”.
M. ha dovuto affrontare due procedimenti penali che “non hanno mai superato le fasi delle indagini preliminari, pertanto entrambe le accuse sono state archiviate definitivamente dal giudice”.
I guai però sono ben lungi dall’essere finiti per il 39enne: “quando mia moglie è uscita di casa ho avviato le pratiche per la separazione ma il giudice ha assecondato le sue richieste, stabilendo che le corrispondessi 500 euro al mese di mantenimento dal momento che non lavorava. Lei è arrivata a chiedermi persino la metà del valore della casa di cui sto ancora pagando il mutuo sostenendo delle rate mensili di 600 euro. Non so più dove sbattere la testa, faccio il manutentore nella stessa azienda da diciotto anni, con gli straordinari arrivo a 2mila euro circa al mese, ma tra le spese legali, il mutuo e i soldi che devo dare a mia moglie, non mi resta nulla. Vivo in un costante stato d’ansia e ho chiesto un sostegno per farmi dare una mano a livello psicologico. Questa situazione mi ha spezzato, a livello mentale ed economico. E’ un’ingiustizia di cui non riesco a capacitarmi e che mi sta distruggendo. Lei è venuta qui solo per sistemarsi, vivere sulle mie spalle e quelle dello Stato, d’altronde in Pakistan non esiste la condivisione dei beni…”.
M. non sa dove viva la donna oggi, “lei ha abbandonato il tetto coniugale, è stata una sua scelta, non abbiamo più rapporti. Mi limito a farle un bonifico ogni mese dall’aprile 2024”. L’uomo ha cercato l’aiuto dell’Amministrazione, chiedendo un incontro al sindaco, “per cercare di fermare questa ingiustizia” ma il suo appello è caduto nel vuoto.
Il suo legale, l’avvocato penalista Annalisa Tironi, ha chiesto al giudice di anticipare l’udienza per la separazione fissata al gennaio 2026, nella quale si chiede l’interruzione del mantenimento e l’addebito alla donna della separazione ma la richiesta è stata rigettata.
“Non mi sento tutelato. La mia denuncia legata alle minacce di morte che ho ricevuto è ancora in fase di indagini… tutto è in alto mare e io intanto continuo ad affondare”.
Carpi, conclude, “è la mia casa. Questo è il paese in cui ho scelto di vivere. Un paese che tutela le donne che subiscono violenza come è giusto e doveroso che sia. Ma in questo caso sono io la vittima di enormi falsità. Occorre valutare ogni caso liberi dal pregiudizio. Anche gli uomini possono diventare un bersaglio. Io mi sto indebitando per tentare di vivere dignitosamente. E non ce la faccio più”.
Jessica Bianchi