No alla creazione di “comuni fotovoltaici”, la Regione stabilisce le aree idonee

Gli impianti agrivoltaici, spiega il presidente della Regione Emilia-Romagna, De Pascale, “sono ciò che ci preoccupa maggiormente perchè di fatto, sulla carta, il Governo li ha completamente liberalizzati e noi abbiamo comuni letteralmente presi d’assalto. Per questo motivo abbiamo introdotto un tetto massimo di occupazione di impianti pari al 2% della superficie agricola utilizzata comunale, nel rispetto del limite regionale dell’1%”. Uno strumento di autodifesa per i sindaci previsto nel progetto di legge regionale per la Localizzazione degli impianti alimentati a fonti rinnovabili nel territorio regionale. Un atto che stabilisce le aree idonee e quelle non idonee nel nome di una pianificazione chiara, equa e territorialmente responsabile

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Al 31 marzo di quest’anno la nostra Regione può contare su una potenza di 4,7 GW da FER, Fonti di Energia Rinnovabile ma il quadro del burden sharing nazionale prevede, entro il 2030, il raggiungimento di 6,3 GW di potenza aggiuntiva, contribuendo al raggiungimento dell’obiettivo nazionale di 80 GW. Il nodo cruciale e che, come Carpi insegna, fa storcere il naso a molti, è dove installare gli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili. A tentare di fare un po’ di chiarezza in un vero e proprio ginepraio, la Giunta regionale ha approvato la delibera del progetto di legge per la Localizzazione degli impianti alimentati a fonti rinnovabili nel territorio regionale, che avvia di fatto il percorso di approvazione: un passaggio fondamentale anche per dotare i sindaci di strumenti concreti per difendersi dalla pioggia di richieste autorizzative di cui i comuni sono subissati da mesi.

“Ci siamo mossi sulla base di due provvedimenti governativi, uno del Ministero dell’ambiente che sostanzialmente spinge in modo indiscriminato l’installazione sistematica di impianti ovunque e uno del Ministero dell’Agricoltura che va esattamente nella direzione opposta. Riteniamo – ha sottolineato il presidente della Regione, Michele De Pascale – di avere occupato ogni millimetro di quel margine legislativo che il legislatore nazionale e la nostra Costituzione attribuisce alle Regioni. Non ci siamo limitati a un intervento notarile, facendo semplicemente sintesi delle due norme, ma entrando nella carne viva del provvedimento. Dove la legge nazionale non chiarisce, ci abbiamo provato noi, cercando di tenere insieme gli elementi del cosiddetto trilemma dell’energia, ovvero sicurezza, equità e sostenibilità ambientale. In una regione come la nostra, che da un punto di vista fisico e geografico è nelle condizioni peggiori d’Italia per fare delle rinnovabili, siamo consci che i sacrifici che dovremo fare rispetto al tema dell’installazione di nuovi impianti – dal punto di vista dell’impatto sul paesaggio e sullo sfruttamento di superfici agricole – dovranno tradursi in una riduzione del costo delle bollette dei cittadini e delle imprese”.

In foto Mammi, Priolo, De Pascale e Colla

Nel progetto di legge viene stabilita una serie di criteri tecnici e ambientali per individuare le aree ritenute idonee, ovvero le superfici già compromesse o infrastrutturate, tra cui: tetti di edifici, parcheggi, cave dismesse, discariche, aree industriali, ferroviarie, portuali e aeroportuali; aree agricole adiacenti alla rete autostradale (entro 300 mt) o entro i 500 metri dalle aree di pertinenza degli impianti industriali e degli stabilimenti, zone destinate a impianti per l’autoproduzione o autoconsumo.

Individuate anche le aree non idonee ovvero quelle di particolare pregio o vulnerabilità: zone tutelate paesaggisticamente o ambientalmente; beni culturali e relative fasce di rispetto; parchi, riserve naturali, aree della Rete Natura 2000; zone con vincoli idrogeologici o per le quali la pianificazione di Bacino prevede la realizzazione di interventi per la riduzione del rischio idraulico, cave rinaturalizzate, aree percorse da incendi o con frane attive.

Il potenziale incremento di potenza installata sulle aree idonee così come identificate da questo atto, potrà raggiungere circa 10 GW, oltre quindi gli obiettivi assegnati. “Tutelare l’ambiente e promuovere lo sviluppo non sono obiettivi in contraddizione, ma due facce della stessa politica. Questa legge – dichiara De Pascale – è un tentativo di regolamentare una esigenza ormai imprescindibile in modo equilibrato e intelligente, attraverso una pianificazione chiara, equa e territorialmente responsabile. L’obiettivo è duplice: ridurre Co2 e bollette”.

E se l’assessore al Sviluppo economico e green economy, Vincenzo Colla, parla di una legge che “ha trovato il giusto equilibrio”, quello all’Agricoltura, Alessio Mammi, ribadisce come “l’Emilia Romagna sia la food valley italiana. Le nostre aziende agricole hanno bisogno di energia per produrre cibo ma anche di suolo. Salvaguardare le filiere agricole e agroalimentari è fondamentale ecco perchè spingiamo sullo sfruttamento di aree già compromesse. Cosa significa poi fare Agrivoltaico avanzato? E’ necessario definire meglio cosa sia e avere delle garanzie non solo sulla produzione di energia ma anche sulla contestuale produttività agricola per evitare cali dove questi impianti vengono realizzati”. La proposta di legge prevede che in caso di produttività inferiore al 90% rispetto alla media, si debba avviare un procedimento che può condurre fino alla rimozione dell’impianto.

Nel disciplinare poi le diverse tipologie di impianti infatti, la Regione ha posto vari paletti.

Qualche esempio? “Il fotovoltaico a terra è consentito in aree agricole adiacenti (entro 500 metri) a impianti industriali solo per l’autoproduzione e l’autoconsumo delle imprese stesse, pertanto non potranno essere realizzati da fondi o soggetti terzi per avere una rendita finanziaria. Questi ultimi potranno invece installarli nelle aree agricole adiacenti la rete autostradali”, spiega De Pascale.

Gli impianti agrivoltaici, prosegue il presidente della Regione, “sono ciò che ci preoccupa maggiormente perchè di fatto, sulla carta, il Governo li ha completamente liberalizzati e noi abbiamo comuni presi letteralmente d’assalto che rischiano di veder totalmente alterato il proprio territorio. Per questo motivo abbiamo introdotto un tetto massimo di occupazione di impianti pari al 2% della SAU, ovvero la superficie agricola utilizzata comunale (con deroga comunale possibile), nel rispetto del limite regionale dell’1%. Abbiamo quindi fornito ai comuni uno strumento di autodifesa”.

Carpi, ha aggiunto l’assessore all’Ambiente, Irene Priolo, ha ricevuto richieste di autorizzazioni che raggiungono già un’occupazione del 4%. Ciò che è stato autorizzato, ovvero Cascinetto, andrà avanti, ma sugli iter in corso di autorizzazione ora c’è un appiglio in più. Non possiamo rischiare che vi siano comuni fotovoltaici, il principio di perequazione è fondamentale. Questo atto darà un respiro a Carpi, e alla provincia di Modena e Ferrara in generale. Vogliamo che tutta la regione si assuma la responsabilità della transizione energetica e non che venga delegata a pochi comuni”.

Jessica Bianchi

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