Oggi è uno dei più grandi fotografi italiani. Olivo Barbieri (ph Andrea Guermani) è nato a Carpi e dal 1971 continua a sviluppare il suo interesse per le immagini. A lui le Gallerie d’Italia – Torino hanno dedicato la mostra “Olivo Barbieri. Spazi Altri” allestita fino al 7 settembre prossimo.
Il lavoro, pensato appositamente per gli spazi delle Gallerie d’Italia di Torino, propone per la prima volta, con molte fotografie inedite, una sintesi organica della ricerca che Olivo Barbieri ha dedicato alla Cina, in un arco temporale lungo oltre trent’anni. Suddivisa in tre sezioni, presenta oltre 150 opere, tra trittici di grandi dimensioni, polittici e due grandi quadrerie.

È il 1989, quando Olivo Barbieri compie il suo primo viaggio in Cina, casualmente proprio durante i fatti di Piazza Tienanmen. Già da questa prima esplorazione le opere a colori che realizza, per rigore e precisione, sono tra le prime, se non le prime, che sistematicamente come corpus esulano da intenti giornalistici, bozzettistici o di propaganda, lontano da qualsiasi automatico preconcetto coloniale. Da allora ha inizio uno scrutare di intensa fascinazione e meticoloso approfondimento che conduce regolarmente l’artista sul territorio della Repubblica Popolare Cinese, fino al 2019.
Molti i viaggi, come testimoniano queste opere, per decifrare quanto sta avvenendo: il più imprevisto cambiamento architettonico e urbanistico, per magnitudo, repentinità e aree coinvolte, della storia dell’umanità. Fin dagli esordi delle sue esplorazioni, Olivo Barbieri intuisce la portata della trasformazione che investirà la Cina: sociale, economica e culturale. Entra così in contatto con la nascente avanguardia artistica e cinematografica cinese.
Proprio in Cina Olivo Barbieri sperimenta, dando vita alla tecnica del fuoco selettivo e successivamente al progetto site specific_ che lo porta nel 2004, tramite scatti realizzati dall’elicottero, a realizzare un film e una serie di opere che offrono uno sguardo inedito sulla metropoli di Shanghai. Queste sperimentazioni lo hanno reso riconoscibile a livello internazionale per la sua abilità nel trasformare la realtà in un modello, un plastico, un mondo in progettazione.
Nelle opere esposte, lontanissime da intenti documentaristici, emergono gli slittamenti percettivi che identificano l’opera del fotografo: lunghe esposizioni, illuminazione artificiale, riprese verticali, colori saturi e il fuoco selettivo che trasforma il reale in un avatar di sé stesso. È così che l’artista mette in luce l’imprevedibile e misterioso cambiamento della Cina in relazione ai temi di identità, sostenibilità, migrazioni, nuove tecnologie e intelligenza artificiale che coinvolge l’intera umanità.