Salute mentale, “la guarigione funzionale è possibile”

“Il pregiudizio di inguaribilità è l’ultimo muro del manicomio. Ed è questa cultura manicomiale, che considera solo il malato e non la persona, che può contaminare i professionisti della salute mentale, se non prestano la dovuta attenzione al rischio che corrono”. A parlare è lo psichiatra Giuseppe Tibaldi, dal gennaio 2018 Direttore dei Servizi di Salute Mentale dell'Area Nord (Carpi e Mirandola) e in pensione dal 30 novembre. Quarant’anni di carriera durante i quali il dottor Tibaldi ha ribadito con forza il messaggio che chi lavora nell’ambito della salute mentale ha l’obbligo di comunicare aspettative positive rispetto al futuro. “Sono fieramente contrario ai colleghi che alimentano il pessimismo prognostico. La fatidica frase: dovrà prendere farmaci per tutta la vita, dovrebbe essere vietata. E’ un messaggio da contrastare non solo perché semina disperazione, ma anche perché è scientificamente infondato. Difficilmente riusciamo a cancellare il nucleo patologico ma possiamo impedire che continui a controllare l’esistenza della persona”.

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“Il pregiudizio di inguaribilità è l’ultimo muro del manicomio. Ed è questa cultura manicomiale, che considera solo il malato e non la persona, che può contaminare i professionisti della salute mentale, se non prestano la dovuta attenzione al rischio che corrono”. A parlare è lo psichiatra Giuseppe Tibaldi, dal gennaio 2018 Direttore dei Servizi di Salute Mentale dell’Area Nord (Carpi e Mirandola) e in pensione dal 30 novembre. Quarant’anni di carriera durante i quali il dottor Tibaldi ha ribadito con forza il messaggio che chi lavora nell’ambito della salute mentale ha l’obbligo di comunicare aspettative positive rispetto al futuro. “Sono fieramente contrario ai colleghi che alimentano il pessimismo prognostico. La fatidica frase: dovrà prendere farmaci per tutta la vita, dovrebbe essere vietata. E’ un messaggio da contrastare non solo perché semina disperazione, ma anche perché è scientificamente infondato: gli studi di esito a lungo termine dicono infatti che a dieci, vent’anni di distanza dall’esordio della patologia, la metà delle persone con le diagnosi più pesanti va incontro a un esito favorevole”. Mai appiattire chi ha un “punto di fragilità psichiatrica sulla sola dimensione della malattia, ribadisce il medico, ma “c’è ancora tanto lavoro da fare”, ammette.

Da circa vent’anni il Dr. Tibaldi è direttore di una collana della casa editrice Mimesis, dal titolo Storie di Guarigione, che pubblica storie positive sulla salute mentale. L’ultimo libro, uscito proprio in questi giorni, è Psicofarmaci: la fiducia tradita di Renéè A. Schuls-Jacobson con la curatela di Tibaldi. Nel 2021, ha pubblicato, sempre nella stessa collana, La pratica quotidiana della speranza (con la prefazione di Don Luigi Ciotti), che rappresenta una sorta di sintesi di queste sue forme di contrasto al pregiudizio di inguaribilità.

“Nelle pratiche dialogiche, che ho contribuito a promuovere nel DSM di Modena – prosegue – vi è sempre spazio per le aspettative favorevoli. Si tratta di adottare una prospettiva in cui si cerca di ridimensionare l’importanza del farmaco affinché non diventi la risposta prevalente in psichiatria. In questi 40 anni ho seguito vari percorsi formativi di carattere psicoterapeutico e tutti mirano a dare una risposta di tipo relazionale alla sofferenza mentale, e puntano sulla comprensibilità della sofferenza”.

Il difetto del farmaco, spiega il dottor Tibaldi, “è che non ti aiuta a capire perché sia insorto il problema, si limita a tenerlo sotto controllo mentre è necessario comprendere la biografia del soggetto, la sua storia personale e familiare, per cogliere gli elementi critici che lo hanno portato allo scacco. Il farmaco è importante, ma è solo una delle componenti del percorso terapeutico. Come già diceva Basaglia, è fondamentale porre al centro la persona e il suo profilo del cittadino, mettendo tra parentesi la malattia. Sono principi a cui resto legato: a me interessa la persona, il cittadino. Il nostro compito, come psichiatri è quello di ridimensionare l’importanza data alla patologia in sé. Difficilmente riusciamo a cancellare il nucleo patologico, ma possiamo impedire che continui a controllare l’esistenza della persona”. Chi non ricorda l’ultima scena del film A beautiful mind, in cui i persecutori che hanno dominato la scena iniziale si trovano in fondo alla sala, senza alcun potere di interferire? “Eccola l’evoluzione positiva, quella che raccontano anche le storie di guarigione.  I professionisti devono avere come obiettivo quello di mettere il nucleo patologico in una posizione di comprensibilità e di sempre minore interferenza. Dargli un significato e ridimensionarne l’importanza. La guarigione funzionale è possibile, si può riavere una vita soddisfacente, senza tuttavia dimenticare, o rifiutare, il proprio punto di fragilità”.

Ora per il dottor Tibaldi è giunto il momento del pensionamento, ma proseguirà quale membro della Consulta regionale della Salute Mentale e del Direttivo di SIEP – Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica a portare avanti il suo messaggio di speranza ragionevole, dedicandosi anche alla pubblicazione di contributi scientifici e alle sue attività di formatore nel campo delle pratiche dialogiche e nei percorsi di de-prescrizione.

Della sua esperienza nel servizio pubblico Tibaldi ammette che saranno “il lavoro di squadra e i progetti condivisi con gli altri professionisti” a mancargli maggiormente. “Il vero elemento qualificante della psichiatria di comunità per come la intendo io. Una presa in carico multidisciplinare che raramente viene offerta dal privato, dove essere assistiti da un team selezionerebbe i possibili fruitori in base al reddito, a causa degli alti costi”. A Carpi il dottor Tibaldi ha promosso un modello di dialogo aperto in cui i professionisti non lavorano “mai soli, ma con i famigliari del soggetto fragile, che rappresentano una risorsa, e con la rete sociale, che comprende anche gli altri Servizi, sanitari e sociali. L’architettura della presa in carico ottimale prevede infatti l’inclusione di tutti i soggetti importanti che ruotano intorno al paziente”.

Originario di Alba, il dottor Tibaldi ha comunque deciso di restare a Carpi, insieme alla moglie, Roberta, assistente sociale presso il Comune di Sassuolo: “Roberta qui ha un lavoro che ama e non avevo motivo di trascinarla altrove. Io sono nato sulle Langhe, lei nel biellese, siamo abituati a fare 600-700 chilometri nel weekend, per andare a trovare le nostre famiglie… Quei luoghi e quelle radici sono importanti, ma al momento non siamo motivati alla fuga da Carpi”, sorride.

Ora che si è chiusa questa lunga fase di impegno nel Servizio Sanitario Nazionale, lo psichiatra non si sottrae dall’ammettere che la realtà concreta della salute mentale pubblica è “affaticata a causa della diminuzione degli investimenti, non solo a livello regionale, ma anche nazionale. C’è una crescente difficoltà a mantenere adeguati i livelli di personale, psichiatri soprattutto. E, a fronte di una dotazione insufficiente di medici e infermieri, si rischia di concentrarsi eccessivamente soltanto sulle prestazioni ambulatoriali, mentre, tradizionalmente, la psichiatria di comunità modenese – e italiana – ha sempre prestato grande attenzione alle attività extra ambulatoriali. Le famiglie vanno incontrate a casa loro, è impensabile che tutto ruoti intorno alla frequenza di un centro di salute mentale. La povertà diffusa di psichiatri nei Dipartimenti di salute mentale e la migrazione dei professionisti verso il privato (o verso gli altri Dipartimenti di Salute Mentale) genera una sorta di costante instabilità del sistema di cura che, purtroppo, va a scapito soprattutto delle persone assistite”.

Jessica Bianchi

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