L’8 settembre a Fossoli, la Fondazione ricorda l’armistizio attraverso la testimonianza di un prigioniero al Campo

William Victor Manford, catturato a El Alamein e prigioniero dall’agosto 1942 racconta il ‘suo’ armistizio attraverso preziosi documenti come il diario e le foto all’interno del Campo, entrati a far parte dell’archivio della Fondazione grazie alla donazione del figlio Michael.

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La famiglia di William Manford

La sera dell’8 settembre 1943, in un famoso comunicato alla radio, il generale Badoglio rende noto l’armistizio firmato in gran segreto con le forze alleate qualche giorno prima.
In occasione dell’81° anniversario, la Fondazione Fossoli racconta le concitate vicende di quei giorni attraverso la testimonianza – pubblicata sul proprio sito (www.fondazionefossoli.org)  di William Victor Manford, soldato prigioniero presso il Campo.

L’8 settembre 1943 segna un passaggio fondamentale nella storia del Campo di Fossoli, ovvero l’epilogo della prima fase di utilizzo delle baracche come Campo per prigionieri di guerra. Fin dal luglio del 1942, infatti, il PG73 di Fossoli ospita soldati britannici catturati in Nord Africa. Già dall’inizio del 1943, e specialmente dopo la capitolazione del regime fascista il 25 luglio, all’interno del Campo si rincorrono voci di una prossima liberazione. Questa “finta alba”, termine utilizzato dal soldato Paul Bogan e ripreso dallo storico Marco Minardi, è presto sostituita dal trasferimento nei territori del Reich e da una nuova prigionia in mano nazista. Così il Campo, svuotato nelle settimane successive all’Armistizio, riapre dal dicembre 1943 come Campo di concentramento per ebrei e prigionieri politici sotto il controllo della RSI. La Fondazione Fossoli ha così deciso di ricordare questa data così importante sia per l’Italia che per la storia del Campo attraverso la testimonianza del soldato Manford, catturato ad El Alamein e prigioniero a Fossoli dall’agosto del 1942.

Nel suo diario di guerra, in data 7 settembre 1943, si legge: “Italy packed in, Ities going mad outside the pen” [“L’Italia è finita, gli italiani danno di matto fuori dal recinto”]. Il 9 è fuori dal Campo: “Free-men. But no where to go” [“Uomini liberi, ma senza sapere dove andare”]. William trova temporaneamente riparo nelle fattorie della zona e, anche dopo la guerra, mostrerà riconoscenza per l’accoglienza che gli viene riservata in questa fase. Dopo questa breve parentesi di libertà, il 17 settembre il soldato è però ricatturato dai tedeschi, che il giorno seguente lo trasferiscono da Fossoli a Bologna: “Gerry took us P.O.W.s went by lorry to Bologna” [“I tedeschi ci hanno portati in camion a Bologna”]. Da lì è poi condotto allo Stalag IV B, un campo per prigionieri di guerra nella regione dei Monti Metalliferi, al confine tra le odierne Germania e Repubblica Ceca, dove resta fino alla fine del conflitto.

Manford (in alto a sinistra) con i compagni di prigionia a Fossoli, 1942

La testimonianza di William Manford si è aggiunta all’archivio della Fondazione Fossoli grazie al lavoro e alla generosità del figlio Michael, che ha donato copia delle trascrizioni del diario e delle fotografie scattate da William Manford, di particolare rilevanza proprio perché scattate all’interno del Campo stesso.

La donazione è avvenuta nell’ambito del progetto ‘Salva una storia’, attraverso il quale la Fondazione invita chiunque sia in possesso di documenti relativi al periodo della seconda guerra mondiale, e più in generale del primo Novecento, a donarli all’archivio perché siano adeguatamente conservati, digitalizzati e messi a disposizione degli studiosi di tutto il mondo.

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