Dopo 32 giorni di viaggio e 8.500 chilometri percorsi in sella a una motocicletta, l’avventura sulla Via della Seta, da Carpi al Kirghizistan, di Armando Ferrari e Maurizio Pattacini è finita. Un viaggio duro, aspro come le terre pietrose che hanno attraversato, ma reso speciale dal cuore grande degli abitanti di quei luoghi sperduti ai confini del mondo. Ecco il loro racconto.
Cosa ci ha spinto verso una meta così inusuale? Molti amici ci hanno posto questa domanda. Trovare una risposta non è facile perché un viaggio così non si sceglie per motivi razionali, lo intraprendi perché sei affascinato da una meta mitica, da scenari inusuali e da popoli di culture così diverse.
La preparazione è iniziata in inverno, con l’allestimento delle moto, due Transalp di 30 anni, le nostre due ruote hanno esattamente la metà della nostra età: le abbiamo smontate e rimontate, un po’ per prepararle al viaggio, un po’ per prepararci noi a eventuali imprevisti meccanici. La pianificazione del percorso richiede molta attenzione. Inizialmente volevamo passare dall’Iran ma attraversare il Turkmenistan era molto complicato (documenti) e oneroso, escludendo anche il passaggio attraverso il mar Caspio per mancanza di rotte turistiche, non potevamo far altro che optare per la Russia e attraversare il deserto kazako per giungere in Uzbekistan e poi via per l’Highway Pamir in Tajikistan, dove occorre un permesso per transitare nella regione del Gbao, e se rimani più di 14 giorni è necessaria anche la registrazione all’OVIR. Attraversare la frontiera per raggiungere il Kyrghiztan è una piccola impresa: serve un permesso da far preparare alcuni giorni prima tramite agenzie che apre una finestra di qualche giorno, se non lo fai rischi di rimanere nella terra di nessuno se ti va bene per ore o giorni: viaggiare in Asia è molto complicato, servono preparazione e grande spirito adattamento agli imprevisti.
Un viaggio del genere richiede anche al tuo corpo un adattamento continuo, al cibo ad esempio: si passa dal Souvlaky greco al Oshi Palav Tajico, attraverso il khinkali georgiano o al kharcho uzbeco, insomma un continuo cambiamento che mette a dura prova il tuo apparato digerente; infatti, la maledizione di Montezuma ha colpito anche noi. Per non parlare delle variazioni di temperatura: si passa infatti dal deserto kazaco con temperature attorno ai 45 gradi alle montagne del Pamir dove il termometro supera di poco lo zero e sei fortunato se non trovi la neve sul tuo cammino. E poi c’è lei, all’altitudine, anche in questo caso le differenze sono notevoli: dai -26 metri sotto il livello del mare nella depressione caspica ai +4.650 metri del Passo Ak-Bajtal il punto più alto della Highway Pamir dove abbiamo incontrato dei ciclisti. Loro pedalavano laddove a noi pareva impossibile persino respirare: saranno stati i quasi quarant’anni di differenza di età…
Preparate le motociclette e pianificato il percorso siamo partiti, già dai primi chilometri in Grecia ci siamo accorti che sarebbe stato un viaggio diverso, sarà stato per le moto anzianotte cariche come muli o per la quantità di attrezzatura che ci portavamo dietro, ma sin da subito abbiamo suscitato la curiosità delle persone, quando ci fermavamo, anche solo per fare benzina, tutti ci chiedevano informazioni o ci facevano vedere le foto delle loro moto. Mano a mano che si spostavamo verso Est, l’accoglienza e l’entusiasmo continuano ad aumentare: le persone a piedi ci salutavano lungo la strada, le macchine o i camion ci suonavano, se ci fermavamo eravamo attorniati da bambini che cercavano di parlare inglese per comunicare o di adulti che ci parlavano in russo come se li potessimo capire.
In Georgia siamo stati ospitati in una struttura cattolica Italiana a Kutaisi, dove i bambini hanno allestito per noi uno spettacolo con balletti e canti tradizionali georgiani, e, ciliegina finale, ci hanno sorpresi cantando in un perfetto italiano Felicità. Quella vissuta in Georgia è stata un’esperienza davvero bellissima, eccezion fatta per la guida dei georgiani, decisamente spericolati e non proprio ligi alle regole della strada. In Russia abbiamo parlato con dei ceceni e gli abitanti del Daghestan. La loro curiosità maggiore? Sapere cosa ne pensassimo della guerra e se a causa del conflitto in Ucraina, odiassimo i russi… Discussioni che puntualmente terminavano con un abbraccio o una stretta di mano. Attraversare il Kazakistan per raggiungere l’Uzbekistan con due Transalp 600 è un’impresa che pare infinita: una striscia di asfalto in mezzo al nulla, lunga quasi 900 chilometri. I dromedari, i cammelli e i cavalli che pascolano ai fianchi della strada ti distraggono per qualche minuto, ma poi rimani tu con i tuoi pensieri e il caldo soffocante del deserto, ma ogni fermata per bere qualcosa diventa un’opportunità di conoscenza e condivisione con gli abitanti o con altri viaggiatori. Delle prime tre città sulla via della seta che abbiamo visitato la più famosa è stata Samarcanda, ma non è stata la più affascinante. Khiva con il suo centro storico cristallizzato nel tempo e Bukhara coi suoi monumenti invece ci hanno colpito di più: certo lo spettacolo della piazza Registan alla sera è veramente incredibile. A Samarcanda abbiamo sostituito gli pneumatici, ripristinato le moto e, come al solito, siamo diventati l’attrazione del momento. Per tutto il giorno ci hanno dissetato e offerto ospitalità, naturalmente non hanno voluto nulla e alla sera abbiamo cenato tutti insieme. Nonostante le difficoltà di comunicazione, le risate non sono mancate, vai a sapere cosa traduceva Traslator in Russo…
Per raggiungere Il Tagikistan si deve percorrere l’Anzob, un tunnel di 5mila metri, privo di illuminazione, senza ventilazione e con un fondo pessimo, non per nulla lo chiamano il tunnel della morte. Attraversarlo con le auto o i camion non è divertente ma in moto è decisamente peggio. Il Tagikistan è uno stato senza sbocco sul mare ed è il meno esteso dell’Asia centrale ma il più alto in termini di altitudine, abbiamo fatto passi che superavano di molto i 4.000 metri di altitudine. La strada Pamir supera spesso i 3.000 metri che hanno messo a dura prova le carburazioni dei nostri Transalp, ma anche per noi respirare non era proprio agevole, figuratevi camminare o correre… Grazie a Facebook nella capitale abbiamo incontrato altri viaggiatori che venivano dall’Afganistan, dopo aver visitato l’Iran e il Pakistan fino al Nepal: motociclisti italiani e afgani che non si conoscevano, ma che si ritrovano a migliaia di chilometri da casa per mangiare qualcosa insieme e condividere esperienze. Davvero fantastico! Raggiungere il Kirghizistan ci ha messi alla prova: la frontiera si trova a più di 4.000 metri, su uno sterrato, ma una volta varcato il confine, la strada diventa un sentiero e si entra per quindici chilometri nella terra di nessuno. Una strada di fango molto impegnativa, che in caso si neve o pioggia diventa impercorribile per i comuni mortali. Il Kirghizistan però ti accoglie con un verde spettacolare, colore a cui non eri più abituato, e con la spettacolare catena Pamir Alay e le sue vette di 7.000 metri. I paesaggi rurali sono da cartolina, punteggiati dalle Yurta dei nomadi kirghizi, pastori che vivono in funzione dei loro animali, spostandosi a seconda della stagione. Ogni volta che passavamo vicino alle tende immancabilmente i bambini correvano fuori per salutarci, sperando in qualche regalo e, altrettanto immancabilmente, i cani da pastore ci inseguivano per mordicchiarci un po’…
Questo viaggio nell’Asia centrale è stato sia per noi che per le nostre moto decisamente faticoso ma non dimenticheremo mai le persone che abbiamo incontrato, i sorrisi, l’educazione, l’ospitalità e il desiderio di essere utili da parte degli adulti, la curiosità e la tenerezza dei bambini, i paesaggi così inusuali che abbiamo visto. Questo percorso ti lascia qualcosa dentro che resterà per sempre con noi.
Maurizio e Armando