Dolore diffuso, cefalea, stanchezza e difficoltà a dormire: sono solo alcuni dei principali sintomi di chi soffre di fibromialgia. Una patologia complessa da diagnosticare e, soprattutto, difficile da sopportare, dal momento che può diventare invalidante. Una malattia che, alle volte, chi ti circonda fatica a comprendere, dal momento che non si manifesta in modo tangibile, tanto da essere stata definita la “malattia invisibile”.
Ma di cosa si tratta? A spiegarlo è il dottor Giacomo Carpenito della Reumatologia del Ramazzini di Carpi e del Policlinico di Modena: “La fibromialgia è un dolore cronico primario, secondo la definizione data dall’ICD-11 (International Classification of Diseases) in vigore dal 1° gennaio 2022, quando dunque è cambiata la definizione e la classificazione del dolore cronico diffuso. Frutto di una revisione durata più di 10 anni, l’ICD-11 (in formato elettronico si trova pubblicato anche sul sito dell’Oms) per la prima volta definisce il dolore cronico come malattia e non più soltanto come sintomo. Questo rappresenta un punto cardine perché noi per anni abbiamo fatto diagnosi di fibromialgia a pazienti che avevano un dolore diffuso e tutti gli esami normali. Adesso il dolore cronico viene classificato in varie forme: è il dolore cronico primario, quello che non ha cause specifiche, a essere definito fibromialgia. Oggi possiamo dire che la fibromialgia, grazie a questo riconoscimento, è meno invisibile”.
La fibromialgia preferisce determinate persone in quanto a genere ed età?
“Si manifesta prevalentemente nelle donne e, punto fondamentale, la fibromialgia, a differenza del dolore cronico diffuso secondario, fa la sua comparsa già dall’infanzia o dalla prima pubertà, proprio perché, pur non essendo note le cause, sappiamo che ha una base genetica. Ci sono intere famiglie di pazienti fibromialgici. Le prime manifestazioni possono essere cefalea, dismenorrea, quindi dolore mestruale importante, sino a includere, col tempo, altri sintomi, come la difficoltà a dormire, a riposarsi durante il sonno, grande astenia anche nello svolgere attività normali, mialgie diffuse, dolori cervicali o disturbi intestinali. Tra i sintomi ci sono anche deficit cognitivi e di memoria. Poi ci può essere un peggioramento nella fase della menopausa, che sappiamo essere particolarmente delicata nella donna. Quello che noi in un paziente andiamo a cercare è sempre l’esordio della malattia: per fare la diagnosi di fibromialgia devo escludere tutte le possibili cause secondarie di dolore cronico diffuso”.
Sembra che i fibromialgici arrivino a un punto in cui si abituano a sopportare il dolore. È così?
“L’abitudine è dovuta al fatto che i pazienti con fibromialgia primaria hanno una soglia del dolore più bassa e ciò comporta una sopportazione del dolore stesso più alta. Da studi che hanno ormai più di 20 anni sui neurotrasmettitori (serotonina e noradrenalina i principali) è emerso che la soglia del dolore è più bassa perché il paziente ha una riduzione di questi neurotrasmettitori su base genetica. Paradossalmente il paziente che ha una fibromialgia primaria, si lamenta meno di un paziente che ha un dolore cronico diffuso esordito da poco”.
Il gene responsabile di questa patologia è stato individuato?
“No, in realtà parliamo di predisposizione genetica per la presenza di alcuni polimorfismi genici che si possono ereditare dai genitori”.
Per la fibromialgia, come per le altre malattie, esistono diverse forme di gravità?
“Ci sono diversi livelli di dolore, noi quando facciamo l’esame clinico andiamo sempre a valutare i tender points, vale a dire i punti di allodinia, quelli che, subendo una lieve pressione, non dovrebbero provocare dolore. Quando il medico li va a stimolare, il paziente accusa più o meno dolore in base proprio a quello che è il grado di interessamento, che possiamo quantificare sulla base della nostra esperienza da 1 a 4”.
Il dolore di cui soffre il paziente fibromialgico si può acuire in determinati periodi dell’anno, ad esempio durante i cambi di stagione?
“Sì, nei cambi di stagione il dolore può diventare più intenso, così come nella stagione invernale dal momento che il freddo aumenta le contratture muscolari. C’è però anche chi lamenta il caldo umido come fattore che va a peggiorare la situazione”.
Quanto può influire la presenza concomitante di altre patologie?
“Anche la presenza di altre patologie può influire: abbiamo pazienti con malattie reumatologiche croniche, come l’artrite reumatoide, il LES e altre connettiviti, che possono avere associato un dolore muscolo-tensivo diffuso che assomiglia a quello fibromialgico. Occorre però fare molta attenzione e distinguere tra dolore cronico diffuso primario (la fibromialgia) e il dolore cronico diffuso secondario (da altre cause).
I fibromialgici statisticamente rappresentano solo il 30% del totale di pazienti che soffrono di dolore cronico diffuso (in Italia si stimano circa 1,8 milioni di persone). Nel restante 70% dei casi il dolore è provocato da cause specifiche. Quando riusciamo a determinarle bisogna lavorare su quelle per migliorare il dolore.
Le principali cause di dolore cronico diffuso sono: in primis la presenza di dolore muscolo-tensivo stress correlato (tra cui il disturbo da stress post traumatico o PTSD, il disturbo da sintomi somatici, il disturbo d’ansia generalizzato con o senza attacchi di panico), il dismetabolismo (come l’obesità), la disbiosi intestinale, le disfunzioni ormonali (menopausa, endometriosi, ma anche terapie per la fecondazione artificiale) e l’età avanzata, caratterizzata spesso da disfunzioni del sistema nervoso centrale su base vasculopatica o degenerativa. Altra possibile causa sono gli interventi chirurgici al rachide. Da ricordare infine l’effetto secondario di alcuni farmaci: gli inibitori dell’aromatasi, prescritti a pazienti con il tumore al seno, oppure le statine, utilizzate per abbassare il colesterolo, possono causare mialgie diffuse e riduzione della forza.
Come Reumatologia, sul territorio provinciale di Modena, ci siamo organizzati con un ambulatorio di terzo livello a cui si accede con la richiesta di uno specialista che ha già visto il paziente, proprio con l’obiettivo di fare queste distinzioni: arrivare a una diagnosi precisa non è facile ma è di fondamentale importanza”.
Quali sono i rimedi per attenuare il dolore di cui soffre un fibromialgico?
“Per anni abbiamo prescritto farmaci ai pazienti fibromialgici: visto che queste persone hanno un deficit dei neurotrasmettitori del dolore, sono quelli che rispondono meglio alla terapia farmacologica perché ci sono medicinali, come ad esempio il tramadolo, capaci di aumentare proprio questi neurotrasmettitori. Ma ci sono anche altri rimedi validi, evidenziati dalle linee guida europee della lega europea contro i reumatismi (EULAR). Tra questi l’attività fisica di tipo aerobico, che aumenta in maniera naturale la produzione di endorfine, sostanze che migliorano il dolore, rilassano la muscolatura, generano sensazione di euforia e benessere. Inoltre il paziente con dolore cronico spesso evita l’attività fisica andando incontro a ipostenia, una debolezza muscolare che peggiora il quadro complessivo, mentre, come dico sempre, il muscolo sta bene in movimento. Poi c’è l’attività fisica in acqua calda (percorsi di idro-fibromialgia): l’associazione malati reumatici dell’Emilia-Romagna (AMRER) ha attivato una serie di convenzioni con i centri termali della nostra regione. In provincia di Modena abbiamo le Terme di Salvarola e altre strutture private. Possono inoltre essere utili anche tecniche complementari come Yoga, Thai Chi e Mindfulness, capaci di alleviare lo stato di stress legato alla patologia cronica in generale. Come Servizio di Reumatologia stiamo cercando di attivare due attività specifiche per pazienti con dolore cronico diffuso che afferiscono all’ambulatorio del Policlinico: attività fisica adattata (AFA) in collaborazione con il centro di Medicina Sportiva e un percorso di MBSR (programma di riduzione dello stress basato sulla Mindfulness). Un altro aspetto fondamentale che può migliorare il dolore è l’alimentazione. È attraverso una dieta anti-infiammatoria che si va a curare il paziente: non ci interessa la valutazione delle calorie, bensì la scelta di determinati cibi che possano contribuire a migliorare la salute intestinale (organo dove viene prodotto il 90% della serotonina) e contenere l’indice di resistenza insulinica”.
Sempre più spesso si sente parlare di pet therapy, vale a dire l’impiego degli animali in determinate patologie. Possono essere utili anche per i pazienti fibromialgici?
“La pet therapy viene utilizzata in tutte le patologie croniche perché la vicinanza di un animale crea rilassamento. Al Policlinico di Modena, il Reparto di Reumatologia è il primo ad utilizzare la pet therapy per i pazienti con sclerodermia, malattia cronica autoimmune sistemica, quindi molto seria: i cani, accompagnati dagli operatori, vengono portati direttamente in Day Hospital, dove vengono utilizzate tecniche di Mindfulness. I benefici di avere un animale di cui prendersi cura, anche per i pazienti con fibromialgia, sono molteplici: l’animale induce a fare attività fisica e aiuta a rilassare chi gli sta vicino. Da alcuni studi è emerso che dormire con un cane aiuta a distendersi e a riposare meglio. Ovviamente bisogna scegliere quello più adatto alla propria situazione, evitando cani troppo grossi che risulterebbero troppo impegnativi da gestire per chi deve convivere con il dolore cronico”.
L’aula della Camera lo scorso 29 febbraio ha approvato all’unanimità sei mozioni presentate da partiti della maggioranza e dell’opposizione sulla sindrome fibromialgica. In tutti i dispositivi si impegna il Governo a riconoscere questa sindrome come “cronica” e “invalidante”. Si punta poi ad inserire la fibromialgia all’interno dei Livelli essenziali di assistenza (LEA) riconoscendo in questo modo l’esenzione della partecipazione alla spesa per le prestazioni sanitarie. In concreto, per i cittadini emiliano-romagnoli che devono convivere con questa malattia, cosa cambia?
“Al momento purtroppo non cambia nulla nel senso che si tratta di mozioni che vanno poi convertite in legge, cosa che probabilmente succederà. Diventerà quindi importante capire quali saranno i criteri, per poter inserire i pazienti che stanno peggio, nei Livelli Essenziali di Assistenza, anche alla luce delle risorse di cui la sanità pubblica potrà disporre. L’iter sarà molto lungo, ma queste mozioni rappresentano un primo passo importante, sempre che non vengano accantonate”.
Federica Boccaletti