La situazione, ormai si sa, è drammatica: mancano medici ed infermieri e questa è solo una delle cause del mal funzionamento di reparti e servizi del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). I motivi sono storici, in quanto legati alla mancata sostituzione dei medici andati in pensione (e questo da oltre 15 anni); sono politico/economici cioè dovute alla scelta di chiudere ospedali, tagliare servizi ,e ridurre i posti letto ospedalieri, il tutto nel tentativo di arginare le spese (riforma Bindi del 1999, Sacconi 2009, Balduzzi 2013 e altri); e sono organizzativi dovuti cioè all’ esiguità dei posti nelle scuole di specializzazione e alle offerte di contratti a tempo determinato ai neo specializzati, con tutto ciò che ne consegue in termini di sicurezza, carriera, ricattabilità e fuga dal SSN .
Le contromisure adottate, che dovrebbero entro 3 o 4 anni raddrizzare la barca “sanità”, sono: assumere medici già al primo anno di specializzazione con contratti a tempo determinato che in automatico diventano a tempo indeterminato dopo l’ottenimento della specializzazione; aumenti salariali differenziati in base alla mansione cioè al carico di lavoro che risulta maggiore in Pronto Soccorso, Rianimazione, Sala Operatoria ecc.; la possibilità di assumere a tempo determinato medici e infermieri stranieri, possibilità che attualmente non viene data stante la norma che prevede per l’assunzione il possesso della cittadinanza italiana. E ancora, revisione dei contratti per il comparto infermieristico e per gli Osa. Inoltre, le strutture intermedie territoriali( case e Ospedali di Comunità) dovrebbero ridurre l’affanno funzionale degli Ospedali, ma qui il condizionale è d’obbligo.
In attesa di tempi migliori si sposta l’età pensionabile dei medici ospedalieri a 70 anni (fino ad ora inderogabile a 65 anni) e si continua ad utilizzare la categoria “medici a gettone” (pagati quasi il doppio dei medici strutturati) per coprire turni notturni, festivi e sedi montane, anche se dall’anno scorso un Decreto ministeriale ne proibisce l’ulteriore utilizzo, ma tant’è…..
Tra le contromisure, come un un elefante nella stanza, c’è anche il partenariato pubblico-privato di cui si parla in modo discontinuo, spesso a bassa voce quasi con imbarazzo e ultimamente con preoccupazione: le strutture ospedaliere private sono in Italia circa 570 cioè un terzo delle strutture pubbliche e con quest’ultime hanno un rapporto di convenzione. Queste strutture sono accreditate per conto del SSN a effettuare prestazioni medico-chirurgiche, diagnostiche ed assistenziali secondo standard definiti e verifiche dei vari requisiti tecnologici e scientifici. La preoccupazione nasce dalla constatazione che l’attività del settore privato accreditato incide sempre di più sul finanziamento del Fondo Sanitario Nazionale che nel 2014 rappresentava il 18% della spesa sanitaria complessiva, nel 2018 oltre il 20% e ora supera il 34%. Questa esternalizzazione massiva di servizi trasferisce troppi poteri e responsabilità ai privati con conseguente depauperamento delle competenze e incapacità ad eseguire un controllo efficace (qualità, equità, costi…) da parte del sistema pubblico. Inoltre, altro fattore da considerare quando si parla di servizio sanitario privato “complementare e di sostegno” al SSN, è la finanziarizzazione della sanità, cioè la presenza di Fondi di investimenti, Banche, Società quotate in Borsa che come ricordava l’economista Milton Friedman hanno soltanto una responsabilità sociale: usare le proprie risorse e impegnarsi nelle attività finalizzate ad aumentare i loro profitti pur nel rispetto delle regole del gioco e senza comportamenti fraudolenti .
Perché il sistema misto pubblico privato sia orientato al bene comune, cioè sia una contromisura valida al declino del Sistema Sanitario che dovrebbe essere universalistico ed efficace, occorre trasparenza, collaborazione e una più chiara e determinata assunzione di responsabilità a livello istituzionale.
Dott. G. Verrini