Nebbia in piazzale Re Astolfo a Carpi

Un racconto originale della scrittrice carpigiana Elisa Cattini dedicato alla sua città o, meglio, alla nebbia.

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Foto di Fabrizio Bizzarri

Quando si è alla ricerca della propria voce interiore, che diventa per chi scrive la propria unica, distinguibile voce narrativa, occorre solleticarla, stimolarla. In qualche modo stanarla. Esistono strumenti infallibili che permettono di calare in profondità una luce che impedisca alla propria voce di nascondersi. Uno di questi è il luogo. Può essere un luogo che per noi è memoria, momento storico o un luogo inteso come concetto o oggetto. O addirittura un luogo metereologico. Ho scoperto che per me, nata e cresciuta a Carpi, ne esiste uno molto potente, vibrante: la nebbia. Vi siete mai chiesti dove risiedete veramente? 

Elisa Cattini

Nebbia in piazzale Re Astolfo a Carpi

•Tè al sèet cusa lè la fumàana?

Sentii la voce ma le poche parole e la visibilità ridotta mi impedirono di capire da dove provenisse. Capii soltanto che a parlare era stato un vecchio.  Era gennaio, l’inizio, ed erano le otto di sera. Mi trovai in piazzale Re Astolfo per sbaglio. I miei clienti mi avevano dato appuntamento in piazza dei Martiri, “quella grande”, avevano detto, ma a me già questa era parsa enorme quindi pensai di essere nel posto giusto. 

•E allora? – insistette la voce – te sai cos’è la nebbia?

•Chi è che parla? – domandai guardandomi attorno infastidito.

Di colpo mi strinsi nel cappotto e alzai il colletto che fermai con due dita. Puntai lo schermo del cellulare di fronte a me e ruotai lentamente sui piedi cercando di non scivolare, e sperando piuttosto di intravedere quell’uomo. La luce rimbalzava negli occhi e chiudeva ancora di più il ventaglio delle cose che avevo attorno. Lo spensi e affilai lo sguardo per mirare più lontano. Rividi una porzione di chiesa, la torre di avvistamento accanto, a cui la nebbia doveva aver troncato buona parte dell’altezza, e il cancello di quello che, a memoria, doveva essere il giardino della Pretura.

Attesi ancora un attimo prima di domandare di nuovo – chi è che parla? – quando sentii pochi passi, al massimo una decina, farsi sempre più vicini sui sampietrini umidi. 

Mi prese un colpo quando di quell’uomo potei finalmente misurare le fattezze e l’età. Doveva avere al massimo quarant’anni e mi superava di venti centimetri almeno. Con le mani infilate nelle tasche di un giubbotto troppo leggero per gennaio si fermò a pochi centimetri da me e mi chiese da dove venissi.

•Sorrento – risposi.

•Quindi lei non lo sa cos’è la nebbia.

•La nebbia è una seccatura – lo liquidai per tagliar corto ma ancora incredulo su quanto la sua voce e l’invisibilità mi avessero ingannato.

Guardai l’orologio. Ero in ritardo.  Pensai di chiedergli indicazioni sulla piazza del mio appuntamento ma ora avrei voluto trattenermi per sapere cosa ne pensasse lui della nebbia. Così gli chiesi se avesse voglia di accompagnarmi.

Ci incamminammo nel cortile del castello dei Pio sul lato destro della piazza ma restammo in silenzio. Quasi mi dispiacque rendermi conto che era soltanto a due minuti da lì e di aver esaurito il tempo a nostra disposizione. 

Ma una cosa gliela dissi prima di vedere la sua schiena leggermente curva che si allontanava, illuminata soltanto dall’insegna offuscata del bar.

•Sa, prima di riuscire a vederla avrei detto che fosse più vecchio.

•È ancora sicuro che la nebbia sia solo una seccatura?

Elisa Cattini