Rifiuti tessili: in Europa si gioca la partita, ecco cosa sta facendo Carpi

E’ sempre più vicino il regime della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) che impone alle aziende di farsi carico del ciclo di vita dei propri prodotti dal momento in cui li immettono sul mercato fino al momento in cui diventano rifiuti. L’intervista a Massimo Garuti di Fondazione Democenter – Sipe per conto di Carpi Fashion System

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Carpi non vuole farsi trovare impreparata: per l’industria tessile è sempre più vicino il regime della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) che impone alle aziende di farsi carico del ciclo di vita dei propri prodotti dal momento in cui li immettono sul mercato fino al momento in cui diventano rifiuti.

“Pur non trattandosi di rifiuti pericolosi o nocivi per la salute, gli scarti tessili impattano sull’ambiente a causa della breve durata delle mode per cui i vestiti si sostituiscono frequentemente per stare al passo con le ultime tendenze” sottolinea Massimo Garuti di Fondazione Democenter – Sipe per conto di Carpi Fashion System. L’Europa è impegnata a contrastare lo spreco di risorse e l’inquinamento investendo con questa riforma  anche il settore moda.

A che punto è la partita a livello europeo?

“Premetto che dal mio punto di vista ogni cambiamento comporta opportunità e rischi, consentendo alle aziende più propense ad innovare di posizionarsi meglio nel mercato. Alcune nazioni, come la Francia, hanno già fatto un balzo in avanti. Con il nuovo regime EPR tutte le aziende dovranno coprire i costi di gestione dei rifiuti tessili, il che dovrebbe incentivarle a ridurre gli scarti e aumentare la circolarità dei prodotti tessili progettandoli in modo che siano più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili”.

L’Italia come si sta muovendo?

“L’Italia è in stand by dopo l’uscita di una bozza di legge nazionale sulla responsabilità estesa del produttore. Sarebbe auspicabile favorisse le aziende, soprattutto quelle più piccole, già particolarmente virtuose e interessate ad affermare il principio per il quale i costi cambiano in funzione del prodotto: questo significa che il contributo versato dall’aziende dipende dall’impatto ambientale, poiché differenti sono i costi di trattamento e riciclo”.

Nel concreto l’Europa a cosa sta pensando?

“Da una parte stimola ricerca e sviluppo di sistemi anche informatici e quello più conosciuto è il Passaporto Digitale di Prodotto (Digital Product Passport) che conterrà informazioni sugli impatti ambientali e sociali dei capi, sulla riparabilità e la manutenzione. Combinato con la normativa ERP potrebbe portare alla definizione del criterio per cui chi inquina di più paga di più. È molto più complicato elaborare una norma di questo tipo perché occorre avere ben chiaro quanto impatta la produzione di una maglietta rispetto a un’altra: materiali, trattamenti, filiera, processi produttivi, durevolezza (i capi dovranno durare più a lungo), riparabilità sono alcune delle possibili indicazioni che permetteranno di gestire al meglio il fine vita, e al consumatore di sentirsi responsabile di quello che acquista”.

Che tipo di lavoro sta portando avanti Carpi Fashion System?

“Stiamo lavorando su tanti fronti. Ad esempio abbiamo creato le condizioni per candidare un progetto strategico regionale (che è stato approvato e ha ottenuto il finanziamento della Regione Emilia-Romagna) denominato proprio Ri-uso, finalizzato a studiare le modalità con cui il Passaporto Digitale di Prodotto potrà essere applicato anche alle piccole aziende, eventualmente attraverso un centro servizi perché si tratta di strumenti complessi e non tutte le aziende potranno permettersi di acquisire le competenze tecnologiche per gestirlo. Lo spirito del progetto è proprio quello di mettere a punto un servizio per aiutare le aziende affinché possano dimostrare qual è l’impatto ambientale dei loro prodotti.

Inoltre stiamo lavorando ad esempio per creare le condizioni per l’utilizzo delle fibre naturali come la canapa, tradizione del nostro territorio ma molto complicata da lavorare.  Abbiamo già individuato competenze per la biomacerazione ma il progetto deve dimostrare non solo la sostenibilità ambientale ma anche economica per industrializzare la filiera. E poi sulla qualificazione e sulla certificazione delle imprese, sulla transizione digitale per rendere più sostenibile anche le fasi più creative del processo, e tanti studi di fattibilità per aiutare le imprese ad innovare, ovviamente nell’ottica della sostenibilità e della circolarità”.

Cosa ne pensa del fatto che Aimag abbia intenzione di investire in un impianto per il trattamento e riciclo degli scarti tessili?

“Gestire la filiera del recupero dei materiali è una bella opportunità perché a livello locale c’è attenzione per il territorio non solo per il profitto. È una bella opportunità per chiudere l’anello dal punto di vista della circolarità. Se matureranno le competenze per recuperare lo scarto tessile pre-consumo e post-consumo, e riutilizzare i materiali per nuovi capi con impatto ambientale inferiore rispetto a un capo nuovo è un intervento interessante”.

Non c’è il rischio che le aziende perdano competitività rispetto al resto del mondo?

“Tutto dipende da quanto saranno fatta bene le direttive europee e come verranno recepite a livello nazionale. Per chi vorrà accedere al mercato sarà obbligatorio fornire informazione sull’intera catena di produzione e questo renderà più difficile eludere certe norme e mettere sul mercato capi impattanti sia da un punto di vista ambientale che sociale. Potrebbe essere l’occasione per avvantaggiare i produttori locali almeno per il mercato europeo perché qui sappiamo che quegli standard più elevati sono mantenuti”.

Sara Gelli