La scuola e il tempo pieno a Carpi, cinquant’anni dopo

Di quella sperimentazione, che ebbe origine nel contesto storico di profonda trasformazione che investiva l’intera società, cosa resta in eredità? A rispondere Federica Artioli, insegnante di scuola primaria a Carpi, autrice della tesi di laurea La scuola e i falò: la sperimentazione del tempo pieno nella scuola elementare a Carpi negli anni 70 e 80

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Federica Artioli (ph Renzo Gherardi)

Nel momento in cui si oltrepassa la soglia di una scuola elementare il pensiero corre agli alunni e agli insegnanti che negli anni ne hanno scritto la storia, carica di vicende ed emozioni. Quell’insieme di ricordi condivisi, trasmessi e ricostruiti è memoria collettiva senza la quale la scuola sembra essere sospesa nel vuoto, senza un’identità e incapace di generare senso d’appartenenza, fondamentale soprattutto per l’integrazione dei nuovi docenti. Da questo pensiero ha preso le mosse Federica Artioli, insegnante di scuola primaria a Carpi, quando ha messo nero su bianco la storia del Tempo pieno a Carpi nella sua tesi di laurea La scuola e i falò: la sperimentazione del tempo pieno nella scuola elementare a Carpi negli anni 70 e 80. A quell’esperienza innovativa che risale al 1972, il Comune di Carpi ha dedicato il convegno dal titolo Un Tempo pieno che ha fatto scuola nell’ambito del quale è intervenuta anche Federica Artioli nella mattinata di sabato 11 novembre. Di quella sperimentazione, che ebbe origine nel contesto storico di profonda trasformazione che investiva l’intera società, cosa resta in eredità?

“Gli istituti culturali che sono un fiore all’occhiello del nostro territorio sono eredità di quella sperimentazione: insegnanti e animatori comunali, inizialmente nell’organico delle scuole per garantire il Tempo pieno, furono poi riassorbiti all’interno del Comune di Carpi e misero a disposizione la loro competenza e l’esperienza maturata in classe per dare vita, all’interno del Centro etnografico, del Centro di Documentazione audiovisiva, della Biblioteca dei ragazzi, ai laboratori ancora oggi frequentati dalle nostre scuole, sviluppando un’offerta culturale che non è scontata o necessariamente estesa in tutto il territorio nazionale”.

Per quanto riguarda la scuola, il Tempo pieno, “dal punto di vista ideale ha fornito spunti interessanti ancora in germe: la didattica non più frontale ma laboratoriale e attiva, per sottogruppi o gruppi cooperativi, le uscite didattiche. Oggi la scuola primaria propone queste esperienze che sono inserite nelle nel curricolo ma non c’è più il clima storico sociale degli anni della sperimentazione che inizia subito dopo la fine delle guerre con le esperienze di alfabetizzazione democratica e prosegue fino agli anni Settanta Ottanta con don Milani[1], Bruno Ciari, Gianni Rodari, Mario Lodi… Il seguente periodo fu quello della restaurazione con una maggiore adesione ai libri di testo e maggiori aspettative da parte dei genitori”.

I bambini del Tempo pieno della scuola Bollitora degli anni ’70, ad esempio, non avendo il libro di testo, utilizzavano un raccoglitore denominato ‘il calderone’ che conteneva i temi e le ricerche, il loro lavoro individuale. Oggi, genitori più istruiti o più attenti alle esigenze formative dei loro figli, non solo seguono l’attività scolastica quotidiana ma si spingono a fare confronti con altre realtà.

“A ciò si aggiungano le nuove normative che impongono maggiore attenzione nel proporre certe attività a scuola oggi rispetto ad allora: oggi un laboratorio di matematica fatto cucinando una torta sarebbe già un problema perché certi cibi non possono entrare a scuola, ci sono bambini allergici o di altre culture. E’ tutto più complesso”.

Guardare oltre l’ostacolo di limiti burocratici e regole si può “se si conserva lo spirito che allora animava insegnanti e personale scolastico, come hanno testimoniato due maestre nell’ambito del recente convegno dedicato a Bruno Ciari a Bologna: “noi avevamo la fiducia e la speranza di cambiare il mondo”. Poi ci furono gli anni di Piombo e la crescente sfiducia di una società di cui la scuola è lo specchio, con le inevitabili ricadute. “Chi entrava in classe in quegli anni pensava di fare qualcosa di importante per la società: per noi insegnanti sarebbe da recuperare quella consapevolezza”

Sara Gelli

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