Infermieri in fuga dall’Italia verso condizioni di lavoro più umane, tra loro anche Matteo Blandini

“Me ne sono andato perché le condizioni di lavoro erano diventate insostenibili ma è stata una scelta molto difficile, che ha comportato rinunce e sacrifici”. A parlare è l’infermiere Matteo Blandini, una carriera professionale, la sua, trascorsa tra le corsie dell’Ospedale Ramazzini di Carpi e quelle del Santa Maria Bianca di Mirandola. Poi, a 48 anni, la decisione, sofferta, di lasciare tutto per migrare in Svizzera: “andarmene dall’Italia è stato doloroso ma qui ho una chance in più di dare un futuro alla mia famiglia”.

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Matteo Blandini

“Me ne sono andato perché le condizioni di lavoro erano diventate insostenibili ma è stata una scelta molto difficile, che ha comportato rinunce e sacrifici”. A parlare è l’infermiere Matteo Blandini, una carriera professionale, la sua, trascorsa tra le corsie dell’Ospedale Ramazzini di Carpi e quelle del Santa Maria Bianca di Mirandola. Poi, a 48 anni, la decisione, sofferta, di lasciare tutto, famiglia compresa, per migrare in Ticino, in Svizzera, alla ricerca “non certo della ricchezza, bensì di una vita lavorativa più serena e appagante”. 

L’Emergenza – Urgenza è sempre stata nelle sue corde: “come tanti colleghi mi sono avvicinato a questa bellissima professione dopo aver fatto il volontario per anni in Croce Blu e alla Misericordia a Modena. Dopo la laurea in scienze infermieristiche “ho svolto la mia gavetta in sala operatoria e poi, finalmente, nel 2010 sono approdato al Pronto Soccorso di Carpi. Quelli trascorsi lì, nonostante i problemi e la carenza di personale, sono stati gli anni più belli, i colleghi erano davvero la mia famiglia. Ci siamo spesi al massimo per dare il meglio di noi in ogni occasione, malgrado le condizioni di lavoro a dir poco complesse. Un ricordo che conservo nel cuore. Il sistema sanitario iniziava già a perdere pezzi, alcuni Ps venivano declassati a punti di primo intervento, sono rimasto a Carpi fino al 2017 e poi, in veste di coordinatore infermieristico, sono andato al Ps di Mirandola fino al termine del 2021, concludendo la carriera come coordinatore dei blocchi operatori. Dopo non ce l’ho più fatta. Troppi gli ostacoli, la burocrazia, la disorganizzazione, la mancata volontà di ottimizzare, di ridurre gli sprechi, di investire sul personale. Il Covid poi ha reso queste lacune ancora più drammatiche. Non potevo più accettare di spremere i colleghi come limoni. A tutto c’è un limite”.

Da tempo Matteo accarezzava l’idea di andarsene e quando nel 2022 si è aperta una posizione in un ospedale svizzero “mi sono candidato e sono stato selezionato sulla base del mio curriculum. Nessuno mi conosceva e sapere di essere stato scelto per le mie competenze mi riempie di orgoglio. Quando sono partito avevo delle aspettative: nessuna è stata tradita. Dopo quasi un anno posso affermare che rifarei questa scelta a occhi chiusi malgrado i primi mesi siano stati durissimi. In Canton Ticino si parla italiano dunque non ho dovuto affrontare lo scoglio linguistico ma non avere vicino mia moglie, i miei due figli e il mio cane mi ha messo a dura prova. Uscire dalla propria comfort zone non è mai semplice”. 

Matteo, impiegato in un ospedale pubblico, ha ritrovato la gioia di recarsi al lavoro ogni giorno: “qui gli infermieri possono davvero prendersi cura dei pazienti. Non solo hanno capacità e preparazione, ma anche gli strumenti necessari per poterlo fare al meglio. I professionisti vengono valorizzati e i compensi sono circa il triplo rispetto all’Italia. Certo qui la vita costa di più ma per la prima volta dopo tanti anni, riesco a mettere da parte qualcosa, prima faticavo ad arrivare a fine mese. Inoltre ne ho guadagnato in salute. Mi sono sentito accolto sin dall’inizio e meno stress e tensioni sul lavoro ti consentono di trattare i pazienti con maggiore comprensione e umanità”.

In Ticino il rispetto delle regole è un imperativo “per dipendenti e datori di lavoro. Vi sono disciplina, meritocrazia e le opportunità di crescita sono enormi. Ho iniziato con un profilo gestionale in area medica ma la clinica mi mancava e ho espresso il desiderio di potermi dedicare a quella. Qui esistono infermieri specializzati in specifici ambiti e dopo essere entrato nel Reparto di Anestesia e averne conosciuti alcuni ho deciso, a cinquant’anni, di rimettermi in gioco e affrontare due anni di studio per specializzarmi a mia volta. Un iter che ti consente uno scatto anche a livello salariale perchè qui la formazione paga”. 

E mentre le Ausl di Modena e Reggio ricorrono alle cooperative, spendendo fior di quattrini, per coprire i turni con medici gettonisti e garantire così la continuità dei servizi, soprattutto nei Pronto Soccorso, poichè incapaci di reclutare professionisti tramite concorsi pubblici, in Svizzera le cose sono decisamente diverse. “I medici non latitano e alla mancanza di infermieri – sottolinea Blandini – inizia subito l’iter di selezione del personale. Gli infermieri italiani che hanno voglia di mettersi in gioco qui sono ben accetti, considerati al pari degli infermieri Svizzeri e tenuti in alta considerazione per la loro ottima preparazione. Pagare bene e offrire condizioni di lavoro umane è molto attrattivo. Non è difficile ma per creare i cosiddetti ospedali magnete occorre rivedere l’intero sistema”. Come? “Si potrebbe partire ottimizzando e tagliando gli sprechi. Meno muri, meno doppioni di servizi e salari più adeguati per il personale. Basta con le fabbriche degli sprechi. I compensi d’oro dei gettonisti rappresentano uno schiaffo per i colleghi del servizio pubblico. Quei soldi devono essere investiti per rendere attrattivi gli ospedali pubblici per tutti i professionisti”.

E invece tanti medici e infermieri continuano ad andarsene perchè la mole di lavoro è diventata impossibile da sopportare, così come la stanchezza, i turni di lavoro massacranti, le aggressioni da parte di pazienti esasperati dalle attese. “Tanti colleghi italiani – prosegue Blandini – stanno andando via, scegliendo Germania, Norvegia, Dubai…” di questo passo il sistema, i cui costi sono sempre più alti anche a causa del progressivo invecchiamento della popolazione e il conseguente aumento delle patologie croniche, è sempre più vicino al collasso.

In Svizzera tutte le persone residenti hanno l’obbligo di stipulare un’assicurazione di base contro le malattie con la possibilità di sottoscriverne altre complementari facoltative. La scelta della compagnia è libera ma tutte le assicurazioni malattia devono offrire le medesime prestazioni per l’assicurazione base secondo quanto sancisce la Legge federale. L’idea di fondo è che a tutti possa essere garantita un’assistenza medica di qualità. “Il paziente che afferisce in ospedale – chiarisce Blandini – viene sempre curato e preso in carico. Nessuno è lasciato solo” grazie al cosiddetto principio di solidarietà.  Secondo questo principio infatti, tutti gli assicurati costituiscono una comunità dove ciascuno fornisce il proprio contributo, cosicché, in caso di necessità, vi siano i mezzi a disposizione per poter aiutare chi ne ha bisogno. Vale a dire che, anche chi è sano e non deve mai consultare un medico, deve pagare un premio mensile, assumendosi indirettamente i costi delle persone malate e di coloro che hanno bisogno di assistenza. 

Il Canton Ticino, chiarisce, Blandini, “non è l’El Dorado ma la conciliazione famiglia – lavoro è una realtà, la città è tranquilla, il presidio del corpo di Polizia è capillare, l’educazione civica della gente inimmaginabile. Gli ospedali sono più tranquilli, certo possono capitare episodi di aggressione ai danni del personale, perlopiù da parte di pazienti psichiatrici che danno in escandescenza, ma sono una rarità e dal momento che ogni ambulatorio di Ps è dotato di tasto d’emergenza, l’intervento della vigilanza e della polizia è pressoché immediato. Si vive con maggior leggerezza. E per questo motivo a breve tutta la mia famiglia mi raggiungerà per ricominciare una nuova vita qui, tutti insieme. Lasciare l’Italia è stato doloroso, ci sono nato, ci ho vissuto per 48 anni. Lì ci sono i miei amici più cari ma le condizioni di lavoro non erano più sostenibili per me. Qui ho una chance in più di dare un futuro alla mia famiglia”.

Jessica Bianchi