Dal Mediterraneo al Mar dei Caraibi in barca a vela: l’avventura di cinque carpigiani

Insieme a quattro amici, compreso l’armatore, il carpigiano Roberto "Jacksie" Saetti, ha vissuto una straordinaria esperienza: la traversata atlantica dalle Isole Canarie fino ai Caraibi, a bordo di Sulità una barca a vela monoalbero di 24 metri. “Un’avventura che più di ogni altra cosa ha suggellato oltre trent’anni di amicizia e di passioni comuni”, sorride Jacksie.

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Un quadro in continuo mutamento dove luci, riflessi, colori… tutto appare più intenso. Una bellezza che incanta e spaventa allo stesso tempo. Conturbante. Così il carpigiano Roberto “Jacksie” Saetti descrive l’Oceano Atlantico. “Lì, per la prima volta, ho davvero compreso il senso più profondo delle marine dipinte dai romantici di fine Ottocento. Ho ritrovato quei colori tante volte ammirati sulle tele ma mai visti prima con quella potenza. Con quell’intensità. Gialli che si impastano nelle acque livide. Tramonti infuocati, cieli notturni da togliere il fiato… quelle emozioni sono ancora con me”. 

Insieme a quattro amici, compreso l’armatore, Jacksie ha vissuto una straordinaria esperienza: la traversata atlantica dalle Isole Canarie fino ai Caraibi, a bordo di una barca a vela monoalbero di 24 metri di proprietà di un industriale carpigiano. Varata nel 2019, in Finlandia, vicino al Circolo polare artico, l’imbarcazione si chiama Sulità (solitudine in dialetto siciliano). “Un nome che prima di tutto vuol essere un elogio alla solitudine, a quell’inevitabile senso di straniamento che si prova quando intorno a te non c’è null’altro che acqua. Un’esperienza privilegiata che induce alla riflessione, che spalanca finestre. Che dona occhi nuovi con cui guardare il mondo. Un’avventura che tutti dovrebbero poter fare almeno una volta nella vita, soprattutto i più giovani, per imparare cosa sia l’essenziale”.

L’armatore ha presentato Sulità agli amici nel gennaio del 2020, a Barcellona, e fu in quell’occasione che nacque l’idea della traversata poi, prosegue Roberto Saetti, “l’irruzione del Covid ha congelato il progetto, così come la nostra euforia. Ma questi anni tanti complessi hanno dato la possibilità al nostro amico armatore, così come al capitano e all’equipaggio di conoscere la barca e di stringere con essa un rapporto quasi simbiotico, di adattarsi a vicenda. Dopo questo periodo di preparazione, Sulità era pronta per compiere il grande salto”.

La combriccola è partita il 16 gennaio dalle isole Canarie, le stesse da cui partì Cristoforo Colombo durante la sua epocale spedizione, il periodo ideale per affrontare in sicurezza e piuttosto rapidamente il grande salto dal Mediterraneo al Mar dei Caraibi grazie agli Alisei, venti caldi e moderati che sospingono. Di loro però nessuna traccia, al contrario, “anziché in poppa, il vento lo abbiamo avuto per tutto il tempo costantemente in faccia. Abbiamo coperto 3mila miglia col vento contrario, costretti a inclinare la barca di 45 gradi e sfruttando l’assetto di bolina o di lasco. E’ stato faticoso ma il capitano è stato davvero straordinario e noi ne siamo usciti bene, seppur un po’ provati”. Dopo 14 giorni e 8 ore (se gli Alisei avessero soffiato ne sarebbero bastati nove) i cinque amici hanno sentito risuonare l’attesa parola: Terra! Di fronte a loro, l’isola di Santa Lucia. Un’avventura che più di ogni altra cosa ha “suggellato oltre trent’anni di amicizia e di passioni comuni. Insieme avevamo già fatto tante cose ma la traversata ci ha unito e arricchito ancor di più. Ha coronato un percorso che viene da lontano, rafforzandolo”, sorride Jacksie. Ora, però, coi piedi ben piantati a terra, quella distesa mutevole, minacciosa e confortante al medesimo tempo, manca. Perchè la bellezza, si sa, inebria, rapisce: “eravamo sperduti ma non mi sono mai sentito in pericolo o lontano da qualcosa. E’ difficile spiegarlo ma mi sentivo al centro di tutto, esattamente dove dovevo essere. Ho goduto di ogni istante. Di ogni guizzo di luce, sempre diverso, durante l’arco della giornata. Ho ammirato balene, tartarughe, meravigliosi pesci volanti, dei veri e propri proiettili. Ho avuto il privilegio di vedere sette arcobaleni contemporaneamente… l’oceano ti regala tutto questo e molto altro. Navighi per giorni, intorno a te nient’altro che acqua eppure non ti manca nulla. E’ già tutto lì”, continua Roberto.

Si parla poco in mare, si agisce e si medita. Ci si dedica semplicemente al necessario. Non c’è spazio per i vezzi. Il superfluo. Una preziosa lezione di vita. 

“Una sola cosa mi è mancata – ammette Jacksie – ed è stata la musica. Ho ripensato molto a un cantautore americano degli Anni Settanta, Fred Neil, che ha lottato per molto tempo contro una dipendenza da oppiacei. Si è salvato trascorrendo gli ultimi anni della sua vita in Florida occupandosi di delfini. Durante la navigazione ho recuperato il suo repertorio, l’ho cantato tra me e me, soprattutto un suo brano continuava a riecheggiarmi nella mente, The Dolphins, uno straordinario pezzo dedicato al mare. I’ve been a-searching for the dolphins in the sea, and sometimes I wonder, do you ever think of me (ndr – Ho cercato i delfini nel mare e a volte mi chiedo, pensi mai a me). In mezzo all’oceano si deve fare i conti anche con la nostalgia ”.

I cinque amici stanno già accarezzando l’idea di altri viaggi da condividere insieme: passare sotto all’iconico Golden Gate Bridge di San Francisco, risalire il Pacifico, raggiungere le isole Galapagos… insomma a breve una nuova avventura potrebbe avere inizio. 

Jessica Bianchi 

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