La fatica di diventare mamme

Come si può riconoscere tempestivamente la depressione post partum? Quale ruolo gioca il partner e quali sono i servizi e gli aiuti messi in campo per aiutare le mamme che stanno attraversando un periodo di fragilità? A rispondere è la dottoressa Giovanna Fogaroli, psicologa del Consultorio di Carpi.

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L’arrivo di una nuova vita viene da sempre accolta, nella nostra cultura, come una lieta novella. Un evento gioioso che però, alle volte, può essere in netto contrasto col vissuto più intimo delle neo mamme. La maternità infatti comporta un profondo e repentino cambiamento di identità e di ruolo della donna che si riflette nelle sia relazioni sociali che nella coppia.  Nei giorni immediatamente successivi al parto è quindi tutt’altro che raro che le donne vivano un periodo caratterizzato da instabilità emotiva, crisi di pianto, ansia e difficoltà a dormire. Ma se il cosiddetto baby blues è un fenomeno fisiologico, la depressione post partum può assumere contorni ben più drammatici dal momento che spesso viene taciuta, nascosta per motivi di vergogna e disistima. Come si può riconoscere tempestivamente la depressione post partum? Quale ruolo gioca il partner e quali sono i servizi e gli aiuti messi in campo per aiutare le mamme che stanno attraversando un periodo di fragilità? A rispondere è la dottoressa Giovanna Fogaroli, psicologa del Consultorio di Carpi.

Dottoressa, alle volte nelle donne che hanno appena partorito può avvenire un crollo emotivo importante a cosa è imputabile?

“Nei giorni immediatamente successivi al parto può verificarsi il fenomeno del cosiddetto Baby Blues, caratterizzato da stanchezza, senso di confusione, vissuti di inadeguatezza, irritabilità, sbalzi di umore e fragilità emotiva. Questo quadro, che può essere considerato nella maggior parte dei casi come fisiologico e reattivo all’evento parto nonché ai cambiamenti ormonali tipici dei primi giorni successivi al parto stesso, si manifesta in un numero alto delle donne che partoriscono (anche superiore al 70% nel caso di primo parto). L’incontro con il proprio bambino, l’avvio dell’allattamento, il rientro a casa, l’inizio di una nuova relazione di cura e di attaccamento richiedono alla donna una profonda riorganizzazione dell’immagine di sé e delle proprie relazioni significative, necessaria all’investimento sul ruolo materno e all’accoglienza del nuovo nato in famiglia. Questo fenomeno, di fronte al quale spesso la donna e la coppia si trovano impreparate, rientra solitamente nel giro di un paio di settimane, grazie alla progressiva conoscenza del bambino, alla scoperta delle sue e delle proprie competenze, al sostegno attento e prezioso da parte dei partner e dei familiari”.

Cos’è la depressione post partum e quanto è diffusa? 

“Diverso è il fenomeno della depressione post parto, che insorge alcune settimane dopo il parto (di solito tra la sesta e la dodicesima), e che riguarda una percentuale minore di donne, indicativamente tra l’8 e l’11%. Caratterizzata da umore depresso, calo dell’autostima, perdita di interesse e piacere, è un malessere emotivo che può influenzare in modo negativo non solo la qualità della vita della donna (con sintomi legati all’alimentazione, al sonno, alle somatizzazioni) ma anche la sua dimensione relazionale. In particolare, se non intercettata e trattata anche attraverso un percorso psicoterapeutico, può nel tempo aumentare il disagio personale, familiare e di coppia, rendendo più faticoso e difficile il compito di cura verso il figlio e la costruzione del legame di attaccamento. Queste situazioni, oltre a creare grande sofferenza e vissuti di inadeguatezza delle madri, possono incidere sugli stimoli e sulle esperienze affettive proposti al bambino, influenzandone lo sviluppo non solo emotivo ma anche senso-motorio e cognitivo. Ciò che caratterizza spesso queste mamme in difficoltà è un profondo vissuto di colpa e di vergogna, che rende a volte difficile per loro chiedere aiuto, creando un circolo vizioso di solitudine e perdita di competenze e di speranza. Per questo è importante che in tutto il percorso di assistenza alle gravidanze e al post parto i professionisti che accompagnano le donne siano preparati e messi nelle condizioni di poter intercettare in modo precoce i primi segni di disagio, così da poter accogliere quanto portato dalla donna attivando adeguati percorsi di sostegno a suo favore e della coppia”.

Cos’è lo Screening del Disagio Psichico Perinatale?

“A seguito del percorso attivato dalla Regione Emilia-Romagna per il disagio psichico della donna in gravidanza e puerperio, i due Consultori dell’Area Nord (Carpi e Mirandola), in collaborazione con i rispettivi Punti Nascita, hanno avviato da gennaio 2020 l’implementazione dello Screening del Disagio Psichico Perinatale. Questo screening, ormai inserito di routine da tre anni nei percorsi nascita dell’Area Nord, è stato preceduto da un percorso di formazione di tutti gli operatori coinvolti (ostetriche, ginecologhe e psicologi dei Consultori, personale ostetrico ospedaliero) e verrà implementato su tutto il territorio provinciale nel corso del 2023. Lo screening viene proposto a tutte le donne, italiane e straniere, in carico ai Consultori per il percorso di assistenza alla gravidanza e al post parto e anche a tutte le donne che partoriscono nei punti nascita ospedalieri anche se non in carico ai Consultori. Nel 2022 in Area Nord sono state sottoposte a screening l’85% delle donne seguite in gravidanza e il 95% di quelle incontrate nel dopo parto. Lo strumento, che viene somministrato per tre volte in gravidanza (una in ogni trimestre) e nel dopo parto, va ad esplorare innanzitutto la presenza di fattori di rischio, sia a livello anamnestico che attuali, sia di tipo psichico che socio familiare”.

Quali sono i principali fattori di rischio?

“Rappresentano fattori di rischio per lo sviluppo di depressione post parto l’aver sofferto in passato o soffrire di disturbi psicologici o psichiatrici, la familiarità per patologie psichiche, l’uso di droghe od alcol. La presenza di queste problematiche nel partner è a loro volta un fattore di rischio, così come l’assenza del partner o una elevata conflittualità di coppia, le situazioni di violenza domestica, l’isolamento sociale e l’assenza di reti amicali e/o familiari di supporto (anche come conseguenza di immigrazione recente), le difficoltà economiche, lavorative e abitative, la presenza di persone ammalate o bisognose di cura in casa. Altri fattori di rischio, specifici del dopo parto, sono un parto difficoltoso o traumatico e la presenza di complicanze o problemi di salute per la mamma e/o il bambino. Oltre ai fattori anamnestici psicosociali sopra descritti, lo screening indaga anche la presenza di sintomi di tipo depressivo, come il calo del tono dell’umore e la perdita di interesse/piacere.

Le domande, poste in modo attento e rispettoso dei tempi e dello stile comunicativo della donna, permettono all’operatore di intercettare non solo la presenza di sintomatologia depressiva o di situazioni di fragilità personale  e/o ambientale, ma consentono alla donna, se si sente pronta a farlo, di portare eventuali difficoltà in famiglia e con il partner, oltre che descrivere forme di disagio differenti dalla depressione, ma che spesso si manifestano o si presentano con la stessa incidenza della depressione in questa fase di vita (gravidanza e puerperio) quali il disturbo d’ansia o da attacchi di panico e il vissuto post traumatico.

Inoltre il focus di attenzione sulla dimensione psichica e affettiva della donna, sulle sue relazioni più significative, sui cambiamenti nella coppia permettono a volte di far emergere anche le situazioni di disagio psichico perinatale maschile, fenomeno diffuso quanto quello materno ma ancora poco conosciuto e riconosciuto.

Lo screening premette alle donne in gravidanza e in puerperio di aprire con l’operatore di riferimento, medico o ostetrico, uno spazio in cui portare disagio, dubbi, preoccupazioni, ma anche richieste d’aiuto, in una dimensione caratterizzata dall’accoglienza, mai minimizzante o giudicante. A tutte le donne positive allo screening viene proposta una consulenza con lo psicologo del Consultorio, e se la donna accetta viene fissato un incontro individuale o di coppia in tempi brevi. Il formato, individuale, di coppia o familiare, viene definito in base alla singola situazione, ai bisogni espressi dalla donna e alle risorse presenti attorno a lei. Il percorso può poi svilupparsi in una consulenza breve o in una presa in carico più duratura, che può proseguire anche nel post parto fino all’anno di vita del bambino. Contestualmente all’avvio del programma di screening sono inoltre stati predisposti dei protocolli distrettuali, nei quali sono stati coinvolti i servizi socio sanitari territoriali oltre all’ospedale; questo ha permesso di formare e sensibilizzare sul problema gli operatori presenti sui territori, aumentando le possibilità di intercettazione precoce del disagio e perfezionando il sistema di invii e di collaborazione tra i vari servizi. In particolare è stata curata a diversi livelli la continuità tra Ospedale e territorio, così da accompagnare le situazioni di maggiore fragilità sia nel momento di accesso all’ospedale per il parto che nelle dimissioni e nella riattivazione dei servizi territoriali”.

Jessica Bianchi 

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