Per la maestra Morena è arrivato il momento di salutare la scuola dopo 39 anni trascorsi in classe e, considerando la sua esperienza, l’occasione diventa preziosa per qualche riflessione. “All’inizio è stato difficilissimo – racconta l’insegnante tornando con la memoria alla metà degli anni ‘80 – perché questo non è un lavoro come altri. Ho chiesto aiuto a docenti che conoscevo e, solo dopo un consistente periodo di tempo, ho iniziato a muovermi con sicurezza cercando e trovando le risposte nei bambini. Questa dimensione dell’aiuto tra generazioni di insegnanti si è progressivamente persa eppure io l’ho considerata fondamentale così come i corsi di aggiornamento organizzati a Roma dalla casa editrice La Scuola a cui partecipavo a mie spese insieme a colleghi della scuola in cui ho fatto la mia prima esperienza, Le Figlie della Divina Provvidenza a Santa Croce. Rientrati a Carpi, ne parlavamo tra noi e mettevamo subito in pratica ciò che avevamo appreso. Così ho costruito le spalle robuste che servono per stare in classe e fino all’ultimo giorno mi sono preparata la lezione, perché i bambini danno il la al lavoro in classe ma la maestra deve essere in grado di riprendere in mano la situazione in qualsiasi momento. Solo l’insegnante preparata è in grado di proporre l’idea giusta al momento giusto”.
Morena Martinelli, sempre alla ricerca di nuovi stimoli, sceglie di passare alla scuola statale e, dopo qualche anno alla primaria Collodi e un lungo periodo alle Gasparotto, ha terminato il suo percorso professionale alla primaria Leonardo Da Vinci.
Le mancheranno gli occhi vispi e curiosi dei bambini, non altrettanto le interminabili riunioni e l’atteggiamento sempre più aggressivo che i genitori riservano agli insegnanti. “Nel contesto classe ognuno è tenuto a ricoprire il proprio ruolo, di insegnante, di genitore, di bambino e invece succede regolarmente che il genitore pretenda di dettare legge imponendo tempi e modi dell’apprendimento o confrontando i quaderni con quelli di bambini di altre scuole. Non c’è nessuno scudo, nessuno che ci protegga. Quando ho iniziato era abitudine della preside ascoltare ciò che accadeva in classe stando fuori dalla porta, entrare e seguire la lezione dal banco oppure controllare i quaderni degli alunni. In questo modo si rendeva conto di chi aveva davanti, conosceva le sue insegnanti e poteva sostenerne la causa. Oggi gli aspetti burocratici prevalgono e i dirigenti ne sono travolti. Affannarsi alla ricerca di finanziamenti per progetti calati dall’alto e che rubano anima e corpo non è così necessario”.
Sentirsi in trincea e dover contrastare attacchi continui a lungo andare logora e toglie la serenità all’insegnante che invece dovrebbe poter concentrare il cento per cento delle sue energie in classe perché “i bambini lo richiedono. Non hanno maturato esperienze significative al di là del gioco di squadra a livello sportivo, non visitano città o musei o, quando accade, non sanno dove si trovano e cosa vedono. Non hanno maturato la consapevolezza necessaria per capire quando possono intervenire e non sempre intervengono nel merito. Sono soli quando avrebbero bisogno di essere accompagnati nella scoperta e vengono soccorsi quando potrebbero cavarsela da soli nel percorso verso l’autonomia”.
La scuola sta perdendo i suoi principi fondanti, “a partire dall’apprendimento in un ambiente educante, attraverso la sperimentazione, partendo, per esempio, da un gioco per toccare le emozioni. Lo star bene a scuola è altrettanto fondamentale. Nessuno giudica, e l’errore diventa la verifica, l’occasione per trovare nuove soluzioni”.
Non si è mai sottratta, non ha mai perso un’occasione perché “ogni momento è buono per educarli” e ha dato tutta se stessa al proprio lavoro quando avrebbe potuto andare un po’ più lenta, lavorare meno o rinunciare ad accompagnare i bambini in gita. Per la maestra Morena quella pagina si chiude ma “mi spiacerebbe che andasse perso ciò che a loro dava piacere quando mi seguivano con quei loro occhietti vispi mentre leggevo”. L’idea potrebbe essere quella di animare gruppi di lettura in Biblioteca e magari lavorare sul testo, chissà…
Sara Gelli