Il 20 e 29 maggio del nostro calendario hanno segnato un prima e un dopo nel corso del tempo: hanno mutato il destino di interi territori, individui, collettività. A distanza di dieci anni è il momento per accogliere nella memoria pubblica la catastrofe del terremoto nella sua reale portata: non basta ripercorrere la narrazione della tragedia che è stata fatta dieci anni fa e nemmeno elencare i progressi e i ritardi della successiva ricostruzione materiale. C’è una forma di memoria trasmessa istituzionalmente ma ce n’è anche una più privata, un sottofondo silenzioso che aspetta di essere riportato in superficie. Dopo l’impatto del terremoto c’era la consapevolezza che nulla sarebbe stato più come prima in tutti gli aspetti della vita della nostra comunità: ambiente, economia, relazioni sociali, immaginario. E’ quella memoria privata che si vorrebbe far emergere perché manca all’appello: cosa significa non ritrovare più i luoghi in cui si è cresciuti? Cosa vuol dire abbandonare la propria casa perché non più sicura? Cosa comporta trascorrere mesi in abitazioni provvisorie? Che senso è stato attribuito a questa esperienza? Che aspettative ha generato la ricostruzione? Quanto è rimasto della nuova identità collettiva generata da quella catastrofe naturale?
A distanza di dieci anni è il momento di condividere il racconto personale perché diventi patrimonio e memoria di tutti. La redazione di Tempo si mette in ascolto di chi vorrà mandare una foto, un testo, un video, una mail, un messaggio su Facebook o sulla App, ma anche di chi vorrà semplicemente fare una telefonata: le pagine dell’edizione di Tempo del 25 maggio saranno dedicate a voi.
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Sara Gelli