Sta meglio ed è stata dimessa dal Policlinico di Modena la piccola di tre anni a cui è stata diagnosticata una epatite acuta di origine sconosciuta. Il secondo caso sospetto del modenese invece, un bambino, è al domicilio ed è fortunatamente in via di guarigione. I due casi emersi nel nostro territorio fanno parte degli 11 sinora segnalati in Italia, di cui solo due confermati. Una situazione, spiega il professor Lorenzo Iughetti, direttore della Struttura complessa di Pediatria del Policlinico di Modena che “non deve destare allarme. Pur avendo sempre fatto i conti con queste forme di epatiti non avevamo mai assistito a un risalto mediatico dei queste proporzioni. Un clamore forse legato al fatto che abbiamo vissuto un periodo a dir poco pregno di cattive notizie legate ai virus”.
Le epatiti acute di causa indefinita in età pediatrica infatti non costituiscono una novità. Ciò che sta destando l’attenzione è il numero di casi concentrati in poco tempo e soprattutto in una determinata area, la Gran Bretagna. Quali potrebbero essere le cause?
A rispondere è la dottoressa Marianna Meschiari, infettivologa del Policlinico, da Lisbona al Congresso della Società Europea di Microbiologia Clinica e Malattie Infettive dove queste “misteriose” epatiti, sono state oggetto dei lavori.
“Si tratta di bambini con un’età media intorno ai cinque anni o anche più piccoli che sono entrati in ospedale per una sintomatologia gastroenterica, ovvero diarrea, febbricola, vomito e il classico ittero – ovvero occhi e pelle gialli – tipico di un difetto di eliminazione della bilirubina caratteristica manifestazione di epatite acuta e quindi di un danno a livello del fegato. Ciò che ci stupisce è l’aumento spropositato di casi nell’ultimo mese, ben 170, prevalentemente segnalati in Gran Bretagna, per i quali sono state escluse le comuni cause di epatite del bambino, le quali, lo ricordiamo, possono essere provocate da virus dell’epatite A-B-C-D-E oppure da numerosi virus che non colpiscono primariamente solo il fegato come ad esempio quello della mononucleosi. Non trovare una causa eziologica e assistere a un aumento importante, soprattutto delle transaminasi, ovvero degli indici di danno al fegato, ha indotto tutta la comunità scientifica a cercare le possibili cause. Su questi bimbi sono state compiute numerose e approfondite analisi anche mediante metodiche avanzate di ricerca molecolare, ciò che è emerso è che quasi il 60% è risultato positivo a un adenovirus peraltro comune nella comunità infantile soprattutto sotto i sette anni di età. Non si può escludere che sia una causa diretta del virus, magari per una possibile nuova variante di adenovirus, ma non si può nemmeno affermare con certezza che sia l’unica a provocare questi danni epatici. Inoltre dobbiamo ricordare che l’uso della mascherina e l’isolamento dovuto alle misure di restrizioni per fronteggiare la pandemia possono aver contribuito a indebolire il sistema immunitario che risulta pertanto meno allenato ad affrontare qualunque infezione. Meno del 10% dei bambini era poi positivo anche a Sars-CoV-2, pertanto la variante Omicron potrebbe essere un’altra possibile concausa; un’ulteriore ipotesi potrebbe essere un danno indiretto del virus capace di generare una risposta immunitaria che possa colpire il fegato. Tutte queste al momento restano ipotesi puramente speculative”.
Di fatto non è ancora stata accertata alcuna causa e di conseguenza nemmeno la via di trasmissione: “non abbiamo certezza – prosegue l’infettivologa – che i casi segnalati in Italia siano riconducibili a questa patologia e pertanto sono in corso delle accurate indagini”.
Oggi presso l’Azienda Universitaria di Modena si svolgerà un incontro polispecialistico volto a identificare i percorsi diagnostici più appropriati e a implementare i sistemi di sorveglianza.
E sull’ipotetica correlazione col vaccino anti Covid, la dottoressa Meschiari è laconica: “è stata esclusa ogni relazione diretta con la vaccinazione, basti ricordare che in Gran Bretagna i bimbi non vengono vaccinati”. E, ancora, aggiunge il professor Iughetti, “tanti parlano senza riflettere, dando vita alle più strane interpretazioni. Il vaccino non centra nulla, nel caso modenese, ad esempio, la piccola ha tre anni e dunque non era stata vaccinata”.
Gli esperti invitano però alla calma: “i genitori non devono allarmarsi e non devono certo portare i propri figli al Pronto Soccorso ai primi sintomi di gastroenterite acuta. I segnali a cui prestare attenzione sono altri, ben definiti e devono comparire insieme: occhi e pelle gialli, feci particolarmente chiare e urine molto scure. In presenza di questa sintomatologia è consigliata almeno una valutazione in ambito pediatrico urgente”, conclude l’infettivologa Marianna Meschiari.
Jessica Bianchi