“Qui teniamo botta, ma è dura”. Il racconto dell’ucraino Markiyan Yurynets

Ha 31 anni Markiyan Yurynets e dopo aver vissuto e studiato a Modena da quando aveva 14 anni, da un anno a questa parte è tornato nella sua Ucraina. “Da quando il nostro Paese è stato invaso sto cercando di dare una mano nella gestione degli aiuti che giungono sin qui”.

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Markiyan Yurynets

Ha 31 anni Markiyan Yurynets e dopo aver vissuto e studiato a Modena da quando aveva 14 anni, da un anno a questa parte è tornato nella sua Ucraina, dove si è sposato con un medico. “Ho un’azienda di marketing – ci racconta al telefono – ma da quando il nostro Paese è stato invaso sto cercando di dare una mano nella gestione degli aiuti che giungono sin qui”. Markiyan vive a Leopoli, vicino al confine polacco: “la nostra città non è stata ancora bombardata ma nulla è più come prima. Non c’è politica, non c’è religione… tutti stanno facendo la loro parte per difendere la propria patria. Leopoli poi rappresenta un nodo cruciale, il punto di riferimento per i rifugiati: più di 500mila persone hanno già attraversato il confine con la Polonia per dirigersi verso l’Europa. Insomma stiamo facendo la nostra parte”.

Non servono né vestiti, né acqua potabile, prosegue Markiyan, “bensì farmaci, cibo a lunga conservazione e coperte. Nonostante sia ormai primavera, stanotte (ndr – 4 marzo) c’era -3 °C. Il freddo è ancora pungente”. Gli aiuti stanno arrivando in modo massiccio e questo “ci fa sentire meno soli. C’è un’espressione tipicamente modenese a cui sono affezionato, ovvero il tener botta. Ecco noi stiamo cercando di tener botta, nella speranza che questo assurdo conflitto finisca al più presto. Non vedo l’ora di poter tornare a Modena, a far visita a mia madre, d’altronde la Città della Ghirlandina ha gli stessi colori dell’Ucraina…”.

Per Markiyan Yurynets l’azione di Putin è inspiegabile: “quando vedo le immagini dei bombardamenti su Kharkiv  (ndr – secondo centro dell’Ucraina, 1,4 milioni di abitanti per la maggior parte russofoni)  non posso non pensare a come nel ’45, i bisnonni di quei militari russi combattevano fianco a fianco con quelli degli ucraini per sconfiggere i tedeschi. E ora, qualche generazione dopo la Russia sta bombardando i suoi stessi alleati”.

Putin ci chiamava amici, fratelli… e poi un giorno ti svegli alle cinque di mattina perché su quattro città ucraine sono piombati i missili. E’ un dolore indicibile, ci sono i morti, la distruzione” commenta Markiyan e poi c’è la rabbia “per tutte le promesse non mantenute”.

Nella notte tra il 3 e il 4 marzo) l’artiglieria russa ha bombardato Zaporizhazhia, la più grande centrale nucleare d’Europa.

La centrale, attorno alla quale si combatte da giorni, si trova sulla linea del fronte nel sud dell’Ucraina, nella località di Enerhodar, vicino all’estuario del fiume Dnepr, a nord-ovest della Crimea, a metà strada circa fra la città assediata di Mariupol e quella occupata dai russi di Kherson. Se esplodesse Zaporizhazhia sarebbe 10 volte peggio di Chernobyl.

“Questa notizia mi mette i brividi – conclude Markiyan Yurynets – se dovesse scoppiare sarebbe la fine per tutti. A destra, a sinistra… la nube non farebbe distinzioni. Quale può essere la ragione di un’azione tanto grave? Una guerra deve avere uno scopo, qui sembra non esserci. I russi stanno bombardando persone che parlano la loro stessa lingua, che hanno la medesima religione… qui in Ucraina hanno parenti di quarto, quinto grado! Si contano già circa 2mila morti tra i civili, persone che andavano a fare la spesa, a prendere l’acqua… d’altronde quando bombardi con dell’artiglieria non controllata poco importa se il bersaglio è una casa o una base militare. Speriamo che questo incubo finisca presto”.

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