Il 15 ottobre si avvicina a grandi falcate, sancendo così ufficialmente l’inizio dell’obbligo di Green Pass per tutti i lavoratori. Nonostante da settimane non si parli d’altro, le zone d’ombra sono numerose e i dubbi che attanagliano i cittadini sono tutt’altro che diminuiti: come si devono organizzare le imprese? Chi farà i controlli? Cosa rischia chi non è “in regola”? Chi sosterrà le spese dei tamponi rapidi per coloro che non vogliono vaccinarsi e che dovranno esibire la certificazione verde, ottenuta con un test negativo, per poter varcare la soglia del proprio posto di lavoro? A cercare di fare chiarezza in questo ginepraio sono i due avvocati modenesi Gaia Venturelli e Tiziano Solignani.
Cosa succede al dipendente privo di green pass a partire dal 15 ottobre?
“Dovrebbe comunque presentarsi in sede e comunicare al datore di lavoro prima di entrare che è sprovvisto di green pass (la materia è regolata dai decreti legge 127/2021 e 139/2021). In alternativa, può mandare una pec all’indirizzo ufficiale dell’azienda, reperibile on line sul registro INI-PEC, in cui comunica di esserne privo e, se crede, in ossequio al principio generale di buona fede e collaborazione nei rapporti contrattuali, valevole anche nei rapporti di lavoro, indicare quali sono le sue probabili intenzioni da qui a fine anno, anche per evitare di presentarsi, in seguito, ogni mattina solo per far accertare che non ha titolo per l’ingresso e farsi mandare via. L’azienda può chiedere al lavoratore di fare la pec, adempimento previsto dal nuovo decreto 139/2021 dello scorso 8 ottobre. All’art. 3 viene infatti precisato come In caso di richiesta da parte del datore di lavoro, derivante da specifiche esigenze organizzative volte a garantire l’efficace programmazione del lavoro, i lavoratori sono tenuti a rendere le comunicazioni di cui al comma 6 dell’articolo 9-quinquies e al comma 6 dell’articolo 9-septies con un preavviso necessario a soddisfare le predette esigenze organizzative.
In sostanza, il Governo ha pensato che per un’azienda, che deve organizzare la produzione, è importante sapere quali dei suoi dipendenti saranno presenti o meno: in questo non si ravvisa alcuna violazione della privacy poiché viene solo anticipata un’informazione che sarebbe comunque stata resa al momento dell’ingresso in azienda. Il nostro consiglio è quello di usare comunque lo strumento della comunicazione via pec, anche perché dell’avvenuta presentazione sul posto di lavoro e reinvio a casa per mancanza del titolo non resterebbe nessuna traccia, cosicché un’azienda in malafede potrebbe persino sostenere che il lavoratore in questione non si è mai presentato. Nel caso in cui il datore di lavoro intenda far lavorare il dipendente sprovvisto di green pass, sarebbe bene farsi fare una dichiarazione scritta riportante l’autorizzazione all’ingresso; ciò nonostante, in caso di controllo il Prefetto farebbe comunque scattare la multa sia all’azienda che al lavoratore. Ovviamente il lavoratore sprovvisto di certificazione qualora presti la sua opera in azienda deve essere retribuito”.
Quali sono le sanzioni previste per il lavoratore che non ottempera all’obbligo?
“Il lavoratore che non si munisce di green pass è considerato in assenza ingiustificata non retribuita. Significa che il dipendente non svolge la prestazione di lavoro e quindi non viene pagato. Il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto, per il decreto 127, ma il nostro consiglio è di non fare troppo affidamento su tale previsione legislativa, perché se l’assenza mette in difficoltà l’azienda, quest’ultima, di fatto, potrebbe trovare un modo per sostituire il lavoratore e poi licenziarlo, magari con una scusa. In questo caso impugnare il licenziamento potrebbe non essere facile. Se un dipendente viene trovato all’interno dell’azienda senza titolo, è prevista una sanzione amministrativa variabile: dai 600 a 1.500 euro. La procedura per l’applicazione della multa ha due passaggi: chi interviene in azienda per il controllo – Carabinieri, Polizia, ecc. – scrive una relazione di servizio in cui viene descritta la situazione, poi inviata al Prefetto: sarà lui ad applicare le sanzioni che riterrà opportune. Tale metodo consente qualche spazio di difesa all’azienda e al lavoratore, ad esempio si può scrivere e depositare una memoria difensiva al Prefetto prima dell’irrogazione della multa”.
E se è lo stesso imprenditore – o artigiano – a non essere munito di certificazione, cosa succede? Chi è che deve eseguire i controlli?
“Se i lavoratori autonomi debbano essere muniti di green pass è un tema ancora dibattuto e controverso. Per noi, l’obbligo vale solo per i dipendenti e non per gli autonomi ma il Prefetto potrebbe essere di un altro avviso. In ogni caso l’eventuale multa prefettizia è impugnabile davanti al giudice di pace, il quale potrebbe interpretare diversamente la normativa. La questione è approfondita al link: https://blog.solignani.it/2021/10/11/green-pass-per-entrare-al-lavoro-serve-anche-agli-autonomi”.
Chi controlla il Green pass nei luoghi di lavoro?
“Solo il datore di lavoro o un suo nominato mediante una specifica delega all’interno dell’assetto aziendale. Tale delega dovrà poi essere riportata anche nel documento programmatico di gestione della procedura di controllo. Secondo il D.L. 127/2021 il datore di lavoro deve controllare i lavoratori prima dell’ingresso in azienda e può optare anche per un controllo a campione. In azienda poi possono intervenire le autorità pubbliche per verificare che il datore abbia fatto quanto previsto dalla legge: Carabinieri, Polizia di Stato, Polizia municipale e così via”.
In quali rischi può incorrere il datore di lavoro che non effettua i dovuti controlli?
“Se non fa il documento programmatico previsto dal decreto 127, è prevista una multa. Quindi ogni azienda deve fare e conservare tale documento ed essere pronta a esibirlo alle Autorità, entro il 15 ottobre. Poi è prevista la stessa multa (minimo 600 euro) per ogni lavoratore presente senza titolo”.
Chi si assumerà l’onere del pagamento dei tamponi rapidi ai lavoratori?
“Il decreto prevede che siano a carico dei dipendenti ma in una circolare del Ministero dell’Interno del 11/10/2021 n.15350/117/2/1, con riferimento ai lavoratori portuali, si legge: Nel corso della suddetta riunione, in considerazione delle gravi ripercussioni economiche che potrebbero derivare dalla paventata situazione anche a carico delle stesse imprese operanti nel settore, si è raccomandato, altresì, di sollecitare le stesse imprese acché valutino di mettere a disposizione del personale sprovvisto di green pass test molecolari o antigenici rapidi gratuiti. E’ però ancora presto per vedere se la circolare prenderà piede: al momento i tamponi devono pagarseli i lavoratori, a meno che l’azienda non decida diversamente”.
Il green pass non è necessario per i lavoratori pubblici e privati che lavorano in smart working. L’azienda è obbligata a prevederlo per il suo personale non vaccinato?
“Il decreto 127 parla di green pass per l’accesso ai «luoghi di lavoro», del resto chi lavora da solo a casa non rischia certo di diffondere l’epidemia… Per cui, chi sostiene che il green pass sia necessario anche per lo smart working, a nostro giudizio sbaglia. L’azienda però non è tenuta a concedere lo smart working, anche perché ci sono attività che non si possono compiere da “remoto”: è dunque una cosa che deve essere discussa e negoziata tra il lavoratore e l’azienda”.
Credete che il caos sia dietro l’angolo?
“Sì, anche perché molte persone e addirittura alcuni avvocati hanno diffuso tramite il web informazioni scorrette su ciò che si può e non può fare per adeguarsi al green pass, proponendo autocertificazioni che non valgono nulla, suggerendo di denunciare l’azienda, chiamare i carabinieri, presentarsi con un legale… Il nostro consiglio per il giorno 15 è, se possibile, di prendere un giorno di ferie”.
Come legali considerate tale obbligo costituzionale?
“No e per una moltitudine di argomentazioni. Nel nostro Paese il controllo di costituzionalità è solo eventuale e a posteriori. La costituzionalità può essere verificata solo durante una causa in corso ed è il giudice a dover rilevare una probabile incostituzionalità. Quindi ad esempio una persona dovrebbe impugnare una multa per mancato possesso del green pass durante un controllo in azienda, sollevare la questione al giudice di pace e se questi ritenesse il green pass costituzionale, si fermerebbe tutto. Nel caso invece lo ritenesse incostituzionale, lo manderebbe a Roma alla Corte costituzionale, la quale dopo un anno o due, emetterebbe una sentenza… Quindi con la costituzionalità, di cui si riempiono la bocca in tanti, non si risolve nulla. Va anche rammentato come, sino alla pronuncia della Corte, con questi modi e tempi, nessuno è autorizzato a non osservare una norma solo perché la ritiene incostituzionale, altrimenti ognuno potrebbe scegliere a proprio piacimento quali leggi osservare e quali no. Dal punto di vista sostanziale, il problema del green pass è che non c’è un’emergenza sanitaria di gravità tale da giustificare, anche solo lontanamente, una normativa del genere. Non è un istituto in sé discriminatorio, perché è chiaro che se ci fosse una grave epidemia in corso, che noi non vediamo, sarebbe corretto: il punto è che non c’è niente del genere. Esiste il Covid, ma oggi non ha una gravità tale da giustificare misure di questa portata, che bloccano un intero Stato e che esistono solo in Italia, unico paese al mondo”.
A cura di Jessica Bianchi