Sono 115 i dipendenti dell’Ausl di Modena che hanno rifiutato il vaccino. La categoria professionale più “resistente” è senza dubbio quella degli infermieri: ben 63 quelli che non hanno sinora aderito al diktat dell’obbligatorietà vaccinale. “Una scelta di individualismo che non comprendo” ha più volte ribadito il direttore generale Antonio Brambilla. “Come si fa a non capire che in un lavoro di cura come il nostro è indispensabile pensare prima agli altri? Il paziente e la sua tutela vengono prima delle proprie convinzioni personali, peraltro non suffragate da evidenze scientifiche”, ha aggiunto. I sanitari non vaccinati sanno a cosa vanno incontro: sospensione dal lavoro – e dal proprio ordine di appartenenza – senza alcuna retribuzione. “A me spiace moltissimo ma le abbiamo provate tutte prima di far scattare tali provvedimenti e dunque spero che questi professionisti si ricredano e tornino sui propri passi”, sottolinea Brambilla. Dopo le dieci sospensioni comunicate nelle scorse settimane ora ne scattano altre quattro, rivolte a tre medici e a un infermiere.
L’iter burocratico per giungere all’extrema ratio della sospensione è lento e farraginoso, fatto di lettere, incontri, raccomandate con ricevuta di ritorno e accertamenti, e prima che l’Ausl possa certificare la reale inadempienza dei dipendenti questi, seppur non vaccinati, continuano a restare al loro posto.
Comunque la si pensi circa l’obbligatorietà vaccinale per i sanitari un punto fermo resta: possiamo permetterci di fare a meno di medici, infermieri, tecnici e operatori socio-sanitari? Le nostre strutture ospedaliere che da anni devono fare i conti con la cronica mancanza di personale, a partire dal Ramazzini di Carpi, potranno reggere il peso di ulteriori “tagli”? E mentre i colleghi che hanno deciso di vaccinarsi dovranno farsi carico di una mole di lavoro ancor più onerosa, il servizio reso ai cittadini ne risentirà? Lo scopriremo presto.
Jessica Bianchi