“Ogni notte sentivo i bombardamenti, l’Afghanistan è così da vent’anni”

“Nel 2016 con Emergency ho trascorso sei mesi a Lashkargah, conosciuta come una roccaforte talebana, e altri sei a Kabul lavorando negli ospedali. Il contesto afghano è sempre stato molto pericoloso” racconta la carpigiana Chiara Lodi.

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E’ dovuta rientrare dopo che l’attività della postazione in cui operava in Tigray, la regione più settentrionale dell’Europa, è stata sospesa. “Hanno ucciso tre ragazzi che operavano con me, una ragazza spagnola e due etiopi e quindi siamo dovuti tornare” racconta la carpigiana Chiara Lodi.

Da dieci anni è impegnata a lavorare come infermiera in territori martoriati da guerre che il mondo non vuole vedere e di cui, a volte, non conosce nemmeno l’esistenza. Naturalmente, è stata in Afghanistan. “Nel 2016 con Emergency ho trascorso sei mesi a Lashkargah, conosciuta come una roccaforte talebana, e altri sei a Kabul lavorando negli ospedali. Il contesto afghano è sempre stato molto pericoloso: ci limitavamo a percorrere il tragitto da casa all’ospedale e viceversa, evitando la via che collega l’aeroporto al centro di Kabul, conosciuta come ‘la via degli attentati’. A Kabul la casa di Emergency è di fronte all’ospedale che Gino Strada riuscì a realizzare 25 anni fa, a Lashkargah dovevamo attraversare la zona del mercato e poi quella della moschea”.

La vita di Chiara si esauriva all’interno delle mura dell’ospedale ma, interagendo con il personale afgano che lavorava con me e con gli operatori umanitari, “ho capito che i talebani ci sono sempre stati e la loro intenzione è sempre stata quella di riprendersi l’Afghanistan. Gli afghani non ne avevano paura perché erano convinti che il fronte di combattimento, in particolare a Kabul, avrebbe tenuto”.

I timori per ciò che accadrà non mancano. “Una collega ostetrica che lavora in un ospedale della provincia del Panjshir ha raccolto le confidenze delle colleghe afghane rassegnate al fatto che non potranno più andare a lavorare in sala parto”. Il timore è che i talebani possano abolire ciò che le donne hanno conquistato con fatica, che possano chiudere gli ospedali, che consentano solo agli afghani di rimanere perché chi non è afghano è un nemico. “Emergency salva ogni vita ed è capitato che siano stati ricoverati anche i talebani in ospedale. Li ho trattati come avrei fatto con chiunque altro, ho evitato di dire certe cose ma non ho indossato il velo”.

L’obiettivo di salvare vite umane e curare tutti pone Emergency al di sopra delle parti e “aver mantenuto un atteggiamento neutrale, lavorando per entrambe le parti, ha consentito a Gino Strada di aprire ospedali in Afghanistan 25 anni fa: Emergency è un’istituzione in questo Paese ed è presente anche in due cliniche in carcere. E’ una presenza importante e vedremo come il nuovo regime si relazionerà con Emergency e cosa deciderà”.

La situazione è in continua evoluzione ma “l’Afghanistan è così da vent’anni. Nel 2016 durante la mia permanenza, ogni notte per sei mesi a Lashkargah ho sentito i bombardamenti”. Non provi mai paura? “L’ho provata in Afghanistan, in Camerun, in Etiopia”. La convocazione da parte dell’Emergency Unit di Medici Senza Frontiere a cui oggi Chiara appartiene arriverà improvvisa e ancora una volta richiederà tanto coraggio ma è questa per ora la scelta di vita che le permette di risvegliarsi ogni mattina piena di stimoli e di entusiasmo.

 

 

 

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