I consumi “culturali” rimandano a quelle pratiche che occupano, o che dovrebbero occupare, il tempo libero dei cittadini: andare a teatro per assistere a uno spettacolo di danza o a un concerto; visitare un museo per rivivere i reperti archeologici di qualche lontana civiltà; leggere una rivista, un romanzo d’evasione, un saggio critico o un’opera di narrativa; apprendere le notizie da un giornale; cimentarsi nella lettura di un periodico dedicato all’arte o godersi un graphic novel; partecipare a un festival della filosofia; ascoltare un genere musicale piuttosto che altri o conoscerne di nuovi arricchendo così il proprio repertorio; fruire di programmi televisivi che accrescono le proprie conoscenze (e quindi in-formativi) o, al contrario, di mero intrattenimento, così come per il cinema. Questi sono esempi di pratiche culturali che, da una prospettiva individualistica, determinano un’accumulazione di esperienze che noi tutti elaboriamo e immagazziniamo allo scopo di interpretare e di attribuire senso agli eventi di vita.
L’indagine di FEDERCULTURE (2019) ha analizzato l’andamento del consumo culturale in Italia dal 2000 al 2019. Ne è emerso come, nel primo decennio, ci sia stato un aumento di fruizione in tutti i settori della cultura presi in esame: lettura, teatro, cinema, musei e mostre, siti archeologici e monumenti, concerti. Al contrario, nel secondo decennio (probabilmente a causa della gravissima crisi economica del 2008), la partecipazione culturale ha registrato un importante calo pressoché in tutti gli ambiti. Nel settore dei musei e delle mostre, nonché in quello dei siti archeologici e dei monumenti, la crescita è rimasta costante, soprattutto perché le città d’arte, così ricche di storia e di bellezza, si sono trasformate in mete turistiche per una pluralità di fruitori.
La rilevazione ISTAT riferita all’anno 2019 sul dato dell’inattività culturale ha mostrato un quadro decisamente sconfortante con l’astensione da ogni attività culturale in allarmante crescita: ben il 20,7% della popolazione ha dichiarato di non aver fruito, negli ultimi 12 mesi, di spettacoli o intrattenimenti e di non aver letto alcun quotidiano o libro.
A dare il colpo di grazia è stata la pandemia da Covid-19 che, insieme all’aumento spropositato della povertà, ha causato un contraccolpo enorme sconvolgendo, come un grande reset, i dati sul consumo culturale fino ad allora esaminati.
Alcuni cambiamenti si sono però mostrati inaspettati. L’analisi condotta da CONFCOMMERCIO (2020) ha mostrato come l’impatto, già del primo lockdown del 2020, sia stato particolarmente elevato, riducendo a zero le attività dal vivo. La cultura si è trasferita sull’ambito digitale con una crescita importante del consumo televisivo (accompagnata da un incremento nell’utilizzo sia di canali sia di piattaforme streaming a pagamento come Netflix) e da un aumento della lettura di libri e dell’ascolto della musica rispetto a prima del lockdown. L’utilizzo di internet è dilagato, anche per la necessità di stare prevalentemente in casa, oltre che per motivi lavorativi e scolastici (a tal proposito, la didattica a distanza – DAD – si è dimostrata inefficace). Gli spettacoli/eventi dal vivo via web non hanno riscosso un successo in termini di fruizione, tanto meno le visite virtuali a musei e siti archeologici, poiché questo settore, insieme a quello teatrale, necessitano perlopiù di una partecipazione dal vivo.
Nonostante l’utilizzo di internet sia in costante aumento, la sovrabbondanza di informazioni offerta dal web non determina meccanicamente più cultura e più conoscenze, anzi: in questo mare magnum sullo scibile umano, parafrasando Leopardi e riadattandolo alla post-modernità digitale, “s’annega il pensiero e il naufragar non è dolce in questo mare”.
Un ulteriore elemento negativo, in tal proposito, emerge dall’uso smisurato dei social network, in cui ormai si riversano migliaia di persone caratterizzate da scarso livello culturale o da un certo “analfabetismo funzionale”, ovvero, l’incapacità “di comprendere, valutare e usare… testi scritti per intervenire attivamente nella società” (UNESCO, 1984); aldilà di considerazioni di ordine psicologico sulla tipologia di certi odiatori, negazionisti, complottisti, etc.
Oggi, più che mai, occorrerebbe predisporre politiche di stimolo della domanda, distribuendo in maniera equa l’offerta culturale fra tutti i cittadini, promuovendo inclusione e coesione sociale, organizzando e pianificando politiche di sviluppo in accordo anche con altri enti istituzionali (scuole, musei, biblioteche, teatri, conservatori, università, etc.). Conoscere le preferenze e i comportamenti del pubblico della cultura permetterebbe di orientare le decisioni degli istituti preposti, con effetti diretti sullo sviluppo del capitale sociale; soprattutto di quelle persone che non sono state messe nella condizione di acquisire le competenze necessarie per apprezzare certe pratiche culturali. È proprio sul piano culturale che si vincono certe battaglie.
Una minoranza, purtroppo sempre più numerosa, sta urlando contro i provvedimenti che limitano la libertà, come se stessimo sprofondando verso una sorta di “dittatura”. Ma la vera dittatura pericolosa a cui si può andare incontro, se costoro prevalessero, sarebbe la dittatura degli ignoranti. Come di fronte al calcio tanti italiani si autoproclamano massimi specialisti di tattiche di gioco, ora vediamo sempre più analfabeti da bar emergere dalla fogna dei social come esperti virologi, medici e scienziati.
Ci troviamo di fronte ad una guerra mondiale contro il Coronavirus e, per vincerla, avremo bisogno di persone competenti e preparate. Sarà necessario il massimo sforzo per ricostruire, se non per migliorare, il precedente tenore di vita, sopperendo alle conseguenze devastanti sul piano sanitario, sociale, politico, economico e, appunto, culturale.
Alessia Goldoni
Psicologa e Sociologa