Cammina per unire luoghi, storie, memorie, lutti. Un passo dopo l’altro. Con lentezza, per riavvicinare due mondi, la Germania e l’Italia e restituire al nostro Paese, l’identità che le spetta. Quello dell’artista visiva Diana Pacelli è molto più di un progetto, è un’esperienza di vita che obbliga al silenzio, alla riflessione. Diana si è messa in cammino il 2 maggio, dal Memoriale del Campo di concentramento di Buchenwald, in una “mattina densa di nebbia, piovigginosa e davvero minacciosa”, sorride, per approdare il 10 giugno all’ex campo di Fossoli. Un itinerario lungo 900 chilometri, attraverso l’Europa, per riflettere sul ruolo della memoria e sulla responsabilità italiana nella deportazione nel periodo nazi-fascista, “una pagina di storia pressoché dimenticata”, spiega.
Moderno Giano bifronte, sospesa tra futuro e passato, Diana cammina portando sulla nuca un calco del proprio viso: “è quanto ho deciso di riportare indietro dalla Germania all’Italia e che lascerò poi in dono alla Fondazione Fossoli, ente che mi sta supportando in questa impresa”.
L’artista che vive e lavora da anni a Berlino ha un background accademico in lettere e nel 2019 ha iniziato il suo secondo master in Public Art and New Artistic Strategies presso la Bauhaus Universität di Weimar. “Il campo di Buchenwald – racconta Diana – rientra nella città di Weimar. Da anni il tema dell’identità mi appassiona e mi sono domandata più e più volte come gli italiani siano arrivati in quel campo. E così, in modo del tutto naturale, ho iniziato a coltivare l’idea di riportare simbolicamente indietro qualcosa da Buchenwald verso il nostro Paese. Un pezzo di quell’identità italiana che si è voluta dimenticare là, nei campi. Riportarla alle sue origini, in territorio italiano. Non desidero semplicemente fare una riflessione su ciò che è stato, sul passato, quel che mi interessa sono soprattutto le motivazioni per cui quel passato è stato accantonato, dimenticato. Perché non se ne parla? Credo sia necessario accrescere la propria consapevolezza su quella pagina di storia”.
Il progetto di Diana si chiama Trenta Denari, ovvero il prezzo che la tradizione biblica assegna al tradimento di Giuda. “Inoltre – spiega l’artista – secondo alcuni, costituiva anche il pagamento mensile di un operaio, o il costo di uno schiavo. 5.000 lire era il prezzo pagato dalla Repubblica Sociale Italiana per un ebreo adulto, 1.000 per un bambino, 300 per un partigiano. Lo stipendio medio mensile era di 5.046 lire. Trovo questo riferimento attuale e pregnante, pur non essendo credente trovo straordinariamente affascinanti i simboli della tradizione cristiana. La figura di Giuda ad esempio è assai controversa, apostolo traditore per antonomasia in realtà secondo alcune ricerche sarebbe stato uno strumento della divina provvidenza affinchè si compisse il volere di Dio. Secondo tale lettura dunque, Giuda si sarebbe immolato per amore e senso di lealtà. Credo che la sua figura sia utile per ricordare a ciascuno di noi quanto complessa e sfaccettata sia la realtà. Non esistono il bianco e il nero, il buono e il cattivo… Ci sono contingenze storico sociali che inducono le persone a comportarsi in un determinato modo ma non è mio compito giudicare. Nè tantomeno desidero sparare a zero sulle generazioni che hanno vissuto la seconda guerra mondiale e tutto ciò che ne è conseguito. E’ però fondamentale conoscerle per agire con consapevolezza nel presente. Se giudicare il passato può risultare quasi in un esercizio retorico, è sulla possibilità, nel presente, di dare forma al futuro che per me è importante agire. E questo agire non può prescindere dalla conoscenza del nostro passato”.
Questo viaggio è un “percorso di prime volte”, racconta Diana, “avrò bisogno di tempo per rielaborarlo, farlo sedimentare, dopodiché questi 900 chilometri diventeranno dapprima un video documentario al quale spero di poter unire anche un’intervista a Gilberto Salmoni, ex deportato a Buchenwald e poi una pubblicazione”.
Ce l’hai quasi fatta Diana, buon cammino!
Jessica Bianchi