“Ubi apis, ibi salus” dice Davide Casarini, agronomo e titolare dell’Azienda Sant’Antonio Abate di Limidi, citando Plinio il Vecchio che già più di duemila anni fa scriveva: dove sono le api, lì c’è la salute. Per questo oggi le api vengono considerate le nostre sentinelle ecologiche a cui è affidato il monitoraggio dell’ambiente: passando di fiore in fiore, non raccolgono solo polline e nettare, ma anche dati sulla qualità dell’ambiente e reagiscono alla presenza di inquinanti.
“Le api misurano lo stato di salute della mia azienda agricola e mi aiutano ad avere una maggiore consapevolezza del lavoro” spiega Casarini. I suoi prodotti, dagli ortaggi alla frutta, dai grani antichi al miele millefiori, sono rigorosamente biologici. Non si definisce un apicoltore professionista ma le sue cinquanta casette “sono diventate una parte importante dell’attività, e non solo per il miele millefiori che le api vi producono. Dal 2015, cioè da quando qui ci sono le api è aumentato il valore dell’allegagione, cioè una quantità maggiore di fiori diventa frutto nella mia azienda agricola”.
Questi insetti, che rischiano l’estinzione per la loro sensibilità, sono fondamentali per l’equilibrio degli ecosistemi e per noi esseri umani: impollinano l’80% dei prodotti vegetali di cui ci nutriamo. Senza le api che, spostandosi da un fiore all’altro, trasportano sulle loro zampette il materiale genetico delle piante, dovremmo fare a meno della maggior parte della frutta e della verdura che ogni giorno troviamo sui nostri piatti. Meli, peri, peschi cosa sarebbero senza questi piccoli insetti?
Ecco perché l’allarme lanciato dal Consiglio Nazionale di Ricerca Scientifica e Tecnologica (CONICET) dell’Argentina non deve cadere nel vuoto: secondo quanto rilevato dai ricercatori, dagli anni novanta ad oggi si è registrato un calo del 25% nelle segnalazioni delle diverse specie di api del Pianeta.
Per sopravvivere anche le api hanno bisogno di nutrimento e qui iniziano i guai. La progressiva distruzione del verde sia nelle aree urbane, sia in quelle dove l’agricoltura è intensiva ha ridotto la biodiversità dei vegetali: siepi e arbusti che delimitavano le proprietà specie in campagna sono spariti.
“Per trattenerle nel territorio dell’azienda ed evitare che si allontanino col rischio che possano incappare in luoghi in cui alle piante vengono fatti trattamenti nocivi per le api, dopo il raccolto lascio che gli ortaggi invernali, dal cavolo nero ai broccoli, fioriscano anziché trinciarli oppure semino grano saraceno affinché possano trovare fiori su cui posarsi in agosto quando scarseggiano fioriture interessanti. Lo faccio per le api ma anche perché poi i semi che cadono a terra germineranno facendo nascere nuove piante senza che io debba seminarle. Nell’azienda agricola Sant’Antonio Abate non trovate belle e ordinate file sgombre da infestanti e la cernita manuale costa fatica ma è un prezzo che altri pagano adottando lavorazioni meno sostenibili per l’ambiente. Chi ha le api in azienda ha un’attenzione particolare per un ecosistema buono”.
Enorme è il problema dei pesticidi, sempre più aggressivi e che hanno reso certi insetti più resistenti a danno di quelli magari più utili. Per le api l’incubo è iniziato decine di anni fa quando comparve la varrosi, malattia parassitaria causata dall’acaro Varroa destructor. Poi sono arrivati i calabroni asiatici. Tutti nemici delle api, da cui dipende tanta parte della nostra sopravvivenza.