Piccolo, colorato, con un carattere vivace e un canto melodioso. Il pettirosso è il simbolo della vita che sopravvive anche nel freddo dell’inverno e forse è per questo che da sempre ha incantato grandi e piccini. Ebbene questi piccoli passeriformi però rischiano di scomparire a causa della brutalità dell’uomo. Pur essendo una specie protetta infatti, i pettirossi continuano a essere catturati per finire… nel piatto. E se questa pratica barbara è assai diffusa soprattutto nelle valli venete così come in quelle bresciane e del bergamasco, il fenomeno del bracconaggio è “fiorente a qualsiasi latitudine del nostro Paese”, spiega Piero Milani, direttore del Centro Fauna Selvatica Il Pettirosso di Modena.
“Non illudiamoci, malgrado i tentativi di contrastarlo, – spiega – il traffico di animali è uno dei più floridi in Italia. La criminalità ha mezzi ben superiori a quelli di coloro che cercano di fermarla. Nel nostro Paese il maltrattamento di animali è ancora inspiegabilmente considerato un reato minore e dunque sono pochissimi i trafficanti puniti con pene esemplari. In Nord Europa, così come in America, chi maltratta gli animali viene considerato a tutti gli effetti un criminale, potenzialmente pericoloso nei confronti di bambini e anziani, e in caso abbia un porto d’armi gli viene revocato, perché qui non accade?”.
A finire nel mirino dei cacciatori di frodo ci sono anche i pettirossi: “questi uccelletti se la stanno passando davvero male, mi stupisco ancora che ce ne siano”. Quest’anno l’operazione Pettirosso, coordinata dal Reparto Operativo – SOARDA, Sezione Operativa Antibracconaggio e Reati in Danno agli Animali, del Raggruppamento Carabinieri forestali, a cui da oltre trent’anni, prima col Corpo Forestale, partecipa anche Milani ha registrato una lieve battuta d’arresto, “un cambio di passo imputabile non certo a un’inversione di tendenza bensì al fatto che la gente ha paura di uscire per mettere trappole e reti a causa del Covid. Non dimentichiamo infatti che la Lombardia è stata ed è particolarmente colpita dal virus e questo ha contributo al calo dei reati di bracconaggio. Temo comunque che tra un paio d’anni torneremo alla mattanza a cui abbiamo assistito sinora”.
La cattura dei pettirossi, ma anche di cinciallegre e scriccioli, è un atto a dir poco brutale: “le trappole sono dei meccanismi infernali, – spiega Milani – spezzano la zampette di questi uccellini per impedire loro di fuggire e farli sopravvivere, tra gli stenti, per conservarne intatte le carni. Poi, dopo uno o due giorni, vengono soppressi in malo modo dal cacciatore che li venderà o li utilizzerà a sua volta in cucina per preparare polenta e osei, piatto tipico veneto e lombardo o lo spiedo bresciano preparato con ben 30, 40 uccelletti. Li chiamano beccofino proprio perché a finire nel piatto sono i piccoli insettivori, specie che, durante le perquisizioni, riusciamo a riconoscere, solo dal becco. La strage dei pettirossi, come di altri uccelli, è iniziata durante le carestie legate alla guerra: ucciderli dava la possibilità di mettere un poco di carne in tavola. Purtroppo però il fenomeno continua e più si contrasta, maggiore è il prezzo di questi insettivori”.
Una vera e propria ecatombe che, unitamente al cambiamento climatico e all’uso massiccio di pesticidi in agricoltura, sta mettendo a rischio la stessa sopravvivenza di alcune specie protette, a partire dal pettirosso che potrebbe a breve “entrare nella lista rossa degli animali in pericolo di estinzione”.
E se in Emilia è il maiale il grande protagonista della nostra tavola, il nostro territorio non è certo immune dal fenomeno del bracconaggio: “sull’Appennino modenese si moltiplicano i casi di bracconaggio notturno di ungulati e due anni fa a Carpi abbiamo stanato dei trafficanti senza scrupoli che catturavano cardellini per rivenderli sul mercato nero, in particolare nel napoletano. Il problema è che ne becchi uno e dieci la fanno franca. E’ un vergogna, ma senza pene certe e severe non si va da nessuna parte”, conclude il direttore Milani.
Jessica Bianchi